Di fatto, la serie di articoli che avete visto raccolti sotto questo titolo, e che costituiscono il mio personale e casalingo studio sull’eredità degli antenati, non possono essere considerati le varie parti di un saggio, per quanto ampio, ma una vera e propria rubrica da aggiornare periodicamente (anche se vi confesso di aver raccolto e rielaborato parte di questo materiale in forma di una trattazione sistematica, un libro che dovrebbe/sarebbe dovuto uscire presso “I quaderni di Thule” dell’editore Ritter, se non che l’attività di questa casa editrice è stata ritardata dall’attentato subito, e tappare la bocca a chi la pensa diversamente, la violenza, la prevaricazione rimangono sempre l’argomento principale della democrazia antifascista).
Questo fatto comporta una certa pluralità di tematiche, che rimangono molto condizionate da quello che di volta in volta offre il web, uno strumento di ricerca indispensabile senza il quale tutto questo lavoro svolto finora da una sola persona, non sarebbe stato materialmente possibile.
La volta scorsa (ventinovesima parte) abbiamo ripreso in mano il discorso delle remote origini della nostra specie, e abbiamo visto che, alla luce dei dati attualmente disponibili, non solo si possono avanzare considerevoli dubbi sull’origine africana di homo sapiens, ma che allo stato dei fatti, il nord del mondo, un’origine per così dire iperborea, appare non meno e forse più probabile. Questa volta invece ci concentreremo principalmente su di un tema molto più ristretto e molto più vicino a noi sulla scala temporale: le origini e la composizione genetica di quel particolare segmento della specie homo sapiens i cui membri conosciamo come Italiani.
Prima di addentrarci in questa tematica, vorrei però segnalarvi una mia piccola scoperta, e mi scuso se qualcuno di voi è già a conoscenza di quanto sto per dirvi, tuttavia comprenderete che in un campo di questa vastità è impossibile sapere tutto, anche perché non è che il sistema con le cui false interpretazioni abbiamo a che fare, si affretti a rendere disponibili tutte le informazioni che potrebbero metterlo in crisi.
Bene, è probabile che abbiate già sentito parlare dello scomparso (e non rimpianto) Stephen Jay Gould. Gould non è stato propriamente uno scienziato, un ricercatore, quanto piuttosto un divulgatore scientifico che ha ottenuto una fama planetaria in questa veste. Forse ricorderete, ne abbiamo parlato a suo tempo, che si è fatto notare per i suoi durissimi attacchi contro Konrad Lorenz, da lui accusato più o meno di essere il padre, il mentore o il responsabile di quella “svolta fascista” nella biologia che etologia, darwinismo sociale, sociobiologia stanno delineando, quella che in un bell’articolo apparso anni fa su “L’uomo libero”, Sergio Gozzoli aveva definito come La rivincita della scienza contro il buonismo, l’antirazzismo, il femminismo e la camicia di forza di tutti i dogmi della Political Correctness democratica.
Bene, la cosa strana che ho scoperto recentemente, è che Gould appartiene allo stesso gruppo etnico-religioso di cui fanno parte Richard Lewontin, il teorico dell’inesistenza delle razze, ed Aaron Dogolpolskij, il linguista teorico del nostratico, cioè in pratica della teoria secondo la quale gli antenati degli indoeuropei non erano nomadi e cavalieri delle steppe eurasiatiche, ma pacifici agricoltori di origine mediorientale, un “russo” che dopo la caduta dell’Unione Sovietica – guarda un po’ – si è trasferito in Israele.
Vi rendete conto di quello che significa? In pratica, tutte le idee “politicamente corrette” su noi stessi e le nostre origini che la democrazia cerca di imporre al mondo intero volente o nolente, spesso ricorrendo alla censura e alla repressione dei punti di vista non conformi con modi che hanno ben poco da invidiare a quelli dell’Unione Sovietica di Breznev, derivano da un piccolo gruppo di persone legate reciprocamente da una PRECISA appartenenza etnico-religiosa, lo stesso gruppo da cui a suo tempo sono “germogliati” Marx e Freud.
STRANO, DAVVERO STRANO: questo stesso gruppo, mentre predica appassionatamente per tutti gli altri i benefici del meticciato, del mescolamento razziale, per quanto riguarda se stesso e i suoi membri, pratica la più rigorosa endogamia.
Tutte le idee sulle nostre origini che la democrazia vuole imporre a livello planetario come “l’ortodossia scientifica” che si pretende indiscutibile, dall’inesistenza delle razze all’origine africana della nostra specie, alla provenienza mediorientale degli indoeuropei, alla totale dipendenza della civiltà europea da influssi orientali (quest’ultimo aspetto della tematica l’ho esaminato nella serie di scritti Ex oriente lux, ma sarà poi vero?), hanno il chiaro marchio di fabbrica di coloro che, diceva Louis Ferdinand Celine, “mentono anche quando respirano”.
Il problema dell’origine e della composizione genetica degli Italiani (quelli veri, beninteso, quelli nativi, perché i “nuovi” italiani sono italiani nella stessa misura in cui un grizzly nato in uno zoo cinese è un panda), è un problema che ho già affrontato sulle pagine di “Ereticamente”. In un articolo di qualche anno fa, avevo citato una ricerca condotta da un team di genetisti stranieri e pubblicata in lingua inglese su “Digilander” che spiegava che dal punto di vista genetico, nella popolazione italiana del nord è riscontrabile un’influenza celtica, e in quella del sud un’influenza greca, ma che esse, a parere dei ricercatori, non sono tali da non poter parlare della popolazione italiana come qualcosa di coerente dal punto di vista genetico e che, a parere degli stessi, la differenza fra italiani del nord e italiani del sud – che in una certa misura esiste – è perlopiù esagerata per motivi politici.
Gli stessi autori affermavano di essersi aspettati di ritrovare nell’Italia meridionale un’influenza genetica mediorientale, in conseguenza della colonizzazione cartaginese o della conquista araba della Sicilia, ma di aver constatato nei fatti che essa è di gran lunga più tenue di quanto avessero previsto.
Quella che francamente non mi aspettavo, è stata la reazione dei lettori che ho potuto desumere dai commenti apparsi su “Ereticamente” in coda al mio articolo, tutti negativi, e spesso con toni fortemente negativi, sebbene non avessi nemmeno espresso un’opinione personale ma mi fossi limitato a riportare gli esiti di una ricerca scientifica. Probabilmente, nel corso degli anni e tra l’ampia mole di scritti da me pubblicati sotto la nostra testata, questo è stato uno di quelli maggiormente contestati.
Confesso che la cosa mi lasciò spiazzato, avevo (ingenuamente!) pensato che in ambienti che amano spesso definirsi “nazionali”, la notizia che dopotutto GLI ITALIANI ESISTONO dal punto di vista genetico, fosse accolta come una buona notizia, mentre a giudicare dalle reazioni che avevo suscitato, era vero esattamente il contrario.
E’ un atteggiamento che in seguito a quest’esperienza mi sono sforzato di analizzare: vogliamo essere padani, galli cisalpini, longobardi, etruschi, bi-siculi (delle Due Sicilie) o promuovere identità regionali lombarde, sarde, venete al rango di nazionalità, tutto meno che italiani, perché settant’anni di Italia democratica e antifascista ci hanno portati ad avere nausea dell’Italia e di noi stessi, è questa una responsabilità gravissima che la democrazia porta con sé, di avere letteralmente avvelenato l’anima di un popolo, ma non è di essere italiani che dobbiamo avere nausea, è la democrazia antifascista che ci deve fare schifo, che va riconosciuta come la lebbra che è.
Tuttavia, questa è ancora solo una parte della spiegazione. Al di sotto c’è qualcos’altro che non interessa soltanto l’Italia, ma coinvolge un po’ tutta l’Europa. Contro le tendenze planetarie, mondialiste, la globalizzazione, la tendenza alla creazione di società multietniche e razzialmente ibride, siamo portati alla riscoperta e alla valorizzazione della nostra identità etnica, culturale e storica. E’ giusto che sia così, ma non dobbiamo dimenticarci mai che ci confrontiamo con un nemico estremamente abile e capace di rivolgere le nostre armi contro di noi.
Questo è un punto sul quale mi riprometto di ritornare con maggiore ampiezza nella quarta parte di Uomini e tempi, un articolo che sarà dedicato precisamente alle ideologie nate dalla globalizzazione, ma non vi pare che al riguardo si debba prendere in considerazione quanto ha da dirci lo scrittore austriaco Gerd Honsik che ha pagato “la colpa” di aver svelato al mondo Il piano Kalergi in 28 punti con un lungo periodo di detenzione inflittogli da una democrazia per la quale esprimere le proprie idee e ancor di più dire alla gente la verità è un reato inammissibile?
Ecco cosa ci racconta nel suo libro:
“Kalergi proclama l’abolizione del diritto di autodeterminazione dei popoli e, successivamente, l’eliminazione delle nazioni PER MEZZO DEI MOVIMENTI ETNICI SEPARATISTI o l’immigrazione allogena di massa”.
Le identità nazionali, prevedeva Kalergi, devono essere sottoposte a un doppio attacco, “dall’alto” attraverso l’immigrazione e il meticciato multietnico, e “dal basso”, scatenando i separatismi e i localismi. Molti “identitari” non se ne rendono conto, ma spingendo all’assurdo il separatismo e il localismo, contribuendo a frantumare le identità nazionali, fanno semplicemente il gioco del nemico, diventano suoi strumenti.
Noi tutti sappiamo che molto spesso le “amicizie” contratte in internet, o anche attraverso uno strumento come facebook, soprattutto quando si tratta di qualcuno che non abbiamo avuto modo di conoscere di persona ma solo attraverso questa nuova forma di rapporto epistolare, sono amicizie per modo di dire, ma ogni tanto c’è qualche eccezione, qualcuno che impariamo a conoscere davvero e ad apprezzare, anche se queste persone sono piuttosto l’eccezione che non la regola.
Una di queste eccezioni, una persona che ho imparato ad apprezzare e a considerare un amico a tutti gli effetti anche in assenza (finora) di un contatto diretto, è un mio corrispondente siciliano anche se vive fuori dall’Isola. Poiché non so se abbia piacere che io lo citi pubblicamente, lo menzionerò con il suo nome di battaglia, Mamer. Mamer è da tempo impegnato in una vera e propria battaglia culturale per dimostrare la falsità della leggenda della Sicilia araba. In età medioevale l’Isola è stata dominata dai Saraceni per un periodo di tempo relativamente breve, costoro impiegarono più di un secolo per conquistarla, scontrandosi con un’accanita resistenza delle popolazioni locali, mentre una volta insediatisi sull’Isola, i Normanni che pure erano un gruppo di mercenari alquanto esiguo riuscirono a cacciarli in breve tempo soprattutto grazie all’appoggio dei Siciliani che detestavano la dominazione della Mezzaluna.
Questa è la verità storica, e se oggi la leggenda della Sicilia araba è gonfiata e dilatata, questo avviene in ragione di quello spirito anti-nazionale che ho ricordato più sopra, e perché è una falsità che fa comodo alla sinistra e alla Chiesa, tese come sempre a creare un clima psicologico quanto più accogliente possibile all’immigrazione. È indiscutibile che tutto ciò sia puro delirio, di femministe che smaniano di essere costrette a indossare il burqa e di preti che non vedono l’ora di vedere le loro chiese trasformate in moschee, tuttavia qui noi possiamo vedere come il localismo anti-nazionale si saldi senza soluzione di continuità con i disegni mondialisti, vediamo l’attuazione del piano Kalergi allo stato puro.
Il caso siciliano non è – purtroppo – isolato. Noi oggi vediamo che il governo di sinistra spagnolo favorisce l’arabizzazione dell’Andalusia e delle altre regioni iberiche meridionali concedendo agevolazioni ai magrebini che si installano a sud di Madrid, quasi a voler annullare la reconquista. E’ il solito razzismo di sinistra contro gli Europei autoctoni che bene abbiamo imparato a conoscere. Noi possiamo dire per regola che un eventuale governo che avesse ancora oggi il coraggio di mettere fuori legge i movimenti marxisti, non farebbe alcun torto al proprio popolo, al contrario, lo difenderebbe da questi nemici della propria gente, a cominciare proprio dalle classi lavoratrici.
Torniamo al nostro Mamer; in data 12 maggio mi ha segnalato un ampio articolo, Genetic History of the Italians, Storia genetica degli Italiani, apparso su eupedia.com, firmato “Marciamo”, tradotto da Giovanni Bigazzi, scritto nel luglio 2013 e aggiornato nel febbraio 2015. (Una considerazione che mi viene spontanea: ma, come nel caso dell’articolo su Digilander che ho menzionato in precedenza, devono essere sempre gli stranieri a occuparsi della nostra storia genetica? Noi dobbiamo sempre accontentarci della favoletta di essere di origini miste, non importa fra cosa e cos’altro, come se il meticciato destinato a cancellarci come popolo fosse già iscritto nel nostro destino, e altre menzogne mondialiste assortite che il lavaggio del cervello cristiano-marxista ci ha resi fin troppo ansiosi di bere?)
L’articolo, vasto e piuttosto tecnico, adesso non tenterò nemmeno di riassumerlo, anche perché racconta una storia che in sostanza conosciamo già: all’origine dell’Italia c’è sicuramente una fusione di popolazioni, alcune di origine indoeuropea, come latini, veneti, sanniti, altre di linguaggio non indoeuropeo, come etruschi, liguri, sardi, ma sempre rientranti nell’ecumene europea e siamo ben lontani dall’essere quella specie di campione dell’universo mondo che alcuni vorrebbero, volendo darci a intendere che non abbiamo una specificità come popolo, un’identità che sarebbe cancellata dal meticciato con gli invasori che gli attuali flussi migratori ci portano in casa.
Insomma, conclude il nostro Mamer: “Dati scientifici, analisi genetiche e non favole mondialiste per indottrinare allodole suicide”.
È un fatto curioso, ma sembra che periodicamente l’interesse su determinate tematiche si concentri provenendo dalle fonti più disparate, e sulla storia genetica degli Italiani sembra che ultimamente ci siano diverse cose da dire. Abbiamo appreso ad esempio che dall’analisi del genoma di Oetzi, l’uomo del Similaun, è risultato che di tutte le popolazioni oggi viventi in Europa, i più vicini a lui geneticamente sono i sardi, sono la popolazione che presenta la maggiore continuità con gli Europei del neolitico, la meno alterata da invasioni e apporti successivi.
Sempre su questa linea si collocano due altri contributi che vale la pena di considerare. Il 12 maggio sul sito “European and Indoeuropean Identity” è apparso un articolo ripreso da etruscancorner.com su Nove secoli di storia etrusca (ma una volta di più, devono essere sempre gli stranieri a ricordarci la grandezza della nostra storia passata?). L’argomento etrusco sicuramente per i nostri lettori non è nuovo: ricordiamo su questo tema i begli articoli del professor Massimo Pittau, e qualcosa in proposito ho scritto anch’io. Comunque certi riscontri sono sempre interessanti, e si può rilevare che questo testo conferma una volta di più l’origine autoctona degli Etruschi la cui civiltà si sarebbe evoluta direttamente dalla cultura villanoviana. La supposta origine mediorientale degli Etruschi, sebbene avallata da Erodoto, rimane una pura leggenda che non ha un valore storico superiore a quella di Enea, inventata per far discendere i Latini dai superstiti della guerra di Troia.
A volte sembra proprio che le coincidenze si diano la mano perché il 17 maggio sul sito “Venetikens – Veneti Antichi” è apparso un articolo ripreso da venetostoria.com, I veneti, popolo d’Europa a firma di Millo Bozzolan, che ci racconta la storia del popolo veneto come è stata ricostruita da Vitord Hensel, direttore dell’Accademia delle Scienze polacca. Le somiglianze sia di toponimi, sia di manufatti, sia di tradizioni culturali come il simbolo del tiglio venerato quale Albero della Vita, inducono a pensare all’esistenza in epoca preistorica di una vasta area “veneta” comprendente gran parte dell’Europa centrale, e coincidente significativamente con la cultura materiale battezzata dagli archeologi “Cultura dei campi di urne”. I Veneti sarebbero stati la prima popolazione europea che si possa definire nazione.
In età storica, i Veneti si ritrovano in tre aree: nel nord della Gallia, nella zona bretone-normanna, dove Cesare ebbe modo di incontrarli e nel De bello gallico ne ha lodato le eccellenti qualità marinare; nell’attuale Polonia, dove hanno lasciato una chiara traccia nella toponomastica (basta pensare alla somiglianza fra i nomi di località polacche e bretoni, ad esempio Brest e Brest-Litovsk), e il nome dato loro dai vicini germanici, “Wenden”, passò poi agli slavi che subentrarono loro, e infine naturalmente nell’attuale Veneto italiano.
Tutte riprove in più del fatto che abbiamo alle spalle una grande eredità storica, un’eredità che oggi non dobbiamo permettere alla canaglia cattolico-sinistrorsa zelante esecutrice del piano Kalergi, di annientare attraverso la sostituzione etnica.