Di Fabio Calabrese
Io vorrei ritornare brevemente su di un argomento che abbiamo affrontato nella venticinquesima parte di questa serie di scritti, vale a dire il ritrovamento dei resti umani emersi nel sito di Natatuk in Kenya. Sarà il caso di ricordare che la fonte a cui ho fatto riferimento non è un sito dell’estrema destra, ma “Le scienze” dello scorso 20 gennaio, il che è come dire il top, la voce più autorevole dell’ortodossia scientifica.
Bene, questo ritrovamento, i resti di una banda di cacciatori nomadi africani massacrati da un’altra banda di cacciatori nomadi, è estremamente importante, anche se cronologicamente meno antico di quello nubiano di Jebel Sahaba dove invece sono emerse le prove di una vera e propria guerra a sfondo razziale tra agricoltori camitici “bianchi” antenati degli Egizi e una popolazione nera, perché in Kenya 10.000 anni fa si sono scontrate due bande entrambe nomadiche, il cui stile di vita, secondo il pensiero di sinistra, da Rousseau a Levi Strauss, sarebbe dovuto essere edenicamente “buono”, essendo secondo loro la guerra e la violenza emerse perversamente con le società organizzate e la proprietà privata.
Quante volte ce la siamo sentita ripetere questa solfa! Bene, è falsa, smentita dai fatti. Questi “buoni selvaggi” africani non si sono peritati di massacrare brutalmente oltre agli uomini adulti della tribù rivale, almeno cinque bambini e una donna incinta agli ultimi mesi di gravidanza.
Natatuk è lì a smentire anche un’altra fola cara alla sinistra e a quei sinistrorsi di complemento che sono usciti dai seminari, e di cui neppure Nietzsche è riuscito a parlare troppo male, a indicare fino in fondo tutte le responsabilità nello sviare la coscienza dell’Europa, che la tendenza a delinquere, la violenza, la brutalità, gli stupri di cui i cosiddetti migranti, gli invasori che calpestano il suolo europeo e dovremmo rispedire da dove sono venuti, siano il frutto di condizioni di disagio dovuto alle guerre, alle carestie, alle privazioni o che so io, a flagelli biblici apocalittici quanto immaginari. Se è così, è “un disagio” che dura da almeno dieci millenni!
In un’altra serie di articoli già apparsi su “Ereticamente”, mi ero occupato delle assurdità, delle falsificazioni, talvolta ben congegnate talaltra grossolane, che il sistema mediatico americano elargisce a piene mani al pubblico di casa propria e al mondo intero, e avevo rilevato, ad esempio, che in una serie sedicente poliziesca come “Criminal Minds” si fa ampiamente uso della tecnica del profiling in maniera alquanto aberrante; tutte le volte che questi sedicenti agenti si imbattono in un delitto a sfondo sessuale, la prima cosa che deducono (misteriosamente) circa il presunto assassino, è che è “bianco”. I neri no, devono essere sempre innocenti, rousseauianamente “buoni”.
E’ un messaggio che fa deliberatamente leva su quello che io chiamo l’effetto Prentice. Avete presente Indovina chi viene a cena?, dove il protagonista di colore, il dottor Prentice confessa di essere stato molto aiutato nella sua carriera dal fatto di essere sempre stato valutato al di sopra dei suoi meriti dalla paura dei suoi interlocutori di sembrare razzisti. L’effetto Prentice non va sottovalutato, ha regalato agli Stati Uniti e al mondo intero una disastrosa presidenza come quella di Barack Obama, e adesso non è il caso di approfondire la devastazione causata in Medio Oriente istigando le cosiddette “primavere arabe”.
E’ un peccato che altri programmi USA oggi “generosamente” importati dalle nostre TV, quelli basati su casi criminosi reali, ci diano un quadro del tutto differente: quando abbiamo delitti a sfondo sessuale o di gelosia, i responsabili sono uomini di colore in proporzione numericamente schiacciante. Dato che è perfettamente in linea con quanto, grazie all’immigrazione, oggi riscontriamo in Italia e in Europa, dove gli immigrati, in grande maggioranza africani, sono responsabili dell’80% di tutti gli stupri che avvengono.
Ultimamente c’è da segnalare un nuovo capitolo di quello psicodramma, o favola, o romanzo, tutto quello che volete tranne che una teoria scientifica, che è l’OOA, la leggenda dell’origine africana che costituisce la “verità ufficiale” “politicamente corretta” sulla genesi della nostra specie.
Secondo questa cosiddetta teoria, una mega eruzione vulcanica del vulcano Toba in Indonesia 70-50 mila anni fa, avrebbe eruttato enormi quantità di polveri nell’atmosfera del nostro mondo provocando un effetto simile a un inverno nucleare, che avrebbe sterminato le numerose popolazioni umane pre-sapiens o sapiens antiche allora esistenti, salvo uno sparuto manipolo di sopravvissuti africani da cui tutti discenderemmo.
Poiché il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, poco dopo la formulazione di questa brillante pensata, si sono scoperti nell’isola di Flores, sempre nell’arcipelago indonesiano, i resti di alcuni piccoli uomini chiamati perciò hobbit come i personaggi di Tolkien. Questi ultimi non sarebbero stati sapiens ma una forma nana di erectus (nanismo insulare), e sarebbero vissuti fino a 20.000 anni fa, quindi fino a 50-30.000 anni dopo la presunta catastrofe planetaria del Toba e su un’isola a due passi su scala mondiale, dall’epicentro di essa.
I nostri piccoli amici, ve lo avevo già fatto notare, tolgono qualsiasi credibilità alla storia del Toba e all’OOA, permettono di relegarla nel regno delle favole, una delle tante menzogne, con il corollario dell’inesistenza delle razze, che la democrazia vorrebbe obbligarci a credere.
Bene, sembra che ultimamente qualcuno, qualcuna delle vestali dell’ortodossia democratica, se ne sia accorto, anche se non oso sperare che abbia acquisito tale consapevolezza leggendo i miei articoli su “Ereticamente”, e se n’è venuto fuori con questa bella pensata: gli hobbit di Flores sarebbero stati sapiens di origine recente, non solo nani ma affetti da sindrome di down.
Davvero si richiede troppo alla nostra credulità: UN’INTERA POPOLAZIONE di down? E perché non una popolazione di cardiopatici, di emofiliaci o magari di paraplegici? Veramente verrebbe da pensare che affetti da sindrome di down siano coloro che hanno formulato un’ipotesi del genere, se non sapessimo che è un tentativo estremo di salvare ciò che non può essere salvato.
L’ipotesi più convincente sull’origine della nostra specie è quella multiregionale, e la riprova più chiara è data dallo studio del DNA che ha permesso di identificare negli Europei attuali una lieve traccia di geni di neanderthal, negli asiatici e negli australoidi un’impronta consistente di un’altra popolazione umana pre-sapiens, i denisoviani, i cui resti sono stati identificati nella grotta di Denisova nell’Altaj. Per quanto riguarda i neri africani sappiamo che né neanderthaliani né denisoviani hanno concorso al loro pool genetico, in compenso vi si trova traccia di un incrocio con un homo molto antico non ancora identificato, probabilmente allo stadio di erectus. Si tratta forse della creatura i cui resti sono recentemente emersi dalla grotta di Naledi, o di un suo discendente.
A tutt’oggi, l’albero genealogico più credibile della nostra specie rimane quello tracciato da Chris Stringer, ricercatore britannico docente alla Bristol University e responsabile del Museo di Storia Naturale di Londra. In esso si vede chiaramente che homo sapiens è una specie poligenica. Ci sono quattro linee evolutive discendenti da homo erectus che sboccano nel pool genetico dell’umanità attuale: Cro Magnon, con cui l’umanità consegue lo stadio sapiens, e le tracce genetiche dell’incrocio con altre tre linee di discendenti dell’homo erectus: neanderthal in Europa, Denisova in Asia, e l’allora sconosciuto homo africano che ora possiamo forse identificare con un discendente dell’uomo di Naledi.
Nuove specie si possono formare per isovariazione, cioè per modificazioni lungo la stessa linea genetica, e per mistovariazione, cioè per incrocio tra forme diverse, che ovviamente devono essere sufficientemente affini da poter generare una discendenza fertile. Quest’ultimo sembra essere il caso della nostra specie, il cui divenire biologico, piaccia o no, risponde alle stesse leggi che regolano il resto del mondo vivente. Tutto ciò non è compatibile con la favola di Adamo ed Eva? Beh, ce ne faremo una ragione.
La confutazione dell’OOA non significa che l’Africa non abbia avuto una parte nella formazione dell’umanità, ma dire questo è altra cosa dall’affermare che “veniamo dai neri”; è probabile che il Sahara attuale, oggi desertico ma fertile e lussureggiante nell’Età Glaciale, fosse abitato all’epoca da una popolazione simile ai Cro Magnon, che può aver concorso al patrimonio genetico degli Europei, mentre il nero subsahariano “classico”, “congoide” secondo la definizione di Carleton S. Coon, sarebbe di formazione più tarda, prodotto da un incrocio coi discendenti dell’uomo di Naledi, un vero e proprio passo indietro rispetto all’emergere del sapiens.
Il ruolo dell’incrocio dei nostri antenati con forme ominidi oggi estinte è stato ribadito recentemente in un articolo di Carl Zimmer apparso sul bollettino di marzo 2016 della Richard Dawkins Foundation for Reason and Science, il cui titolo tradotto in italiano suona così: “Gli antenati degli esseri umani moderni incrociati con ominidi estinti”. L’autore spiega che questo scambio genetico avrebbe avuto un ruolo chiave nel conferire agli esseri umani l’immunità ai vari patogeni diffusi nelle diverse aree del mondo, e afferma:
“Questo è un altro chiodo nella bara dei nostri modelli troppo semplicistici dell’evoluzione umana”.
A questo riguardo, si può anche ricordare un fatto di cui vi ho dato notizia la volta scorsa: l’esame del DNA di resti umani ritrovati nella caverna spagnola di Sima de los Huesos, risalenti a 400.000 anni fa, una popolazione considerata intermedia fra homo erectus-heidelbergensis e sapiens, ha mostrato a sorpresa una spiccata somiglianza con quello dei denisoviani dell’Altaj. Le relazioni di parentela e le migrazioni di queste antiche popolazioni sono tuttora tutt’altro che chiare, ma tutto quel che è emerso finora va a favore dell’ipotesi multiregionale, di un’origine eurasiatica della nostra specie, mentre l’OOA non trova alcun appoggio nei fatti.
Riguardo a Richard Dawkins, creatore di questa fondazione, e impegnato da sempre in una difficile battaglia scientifica e culturale, vi sarebbe da fare un ampio discorso, ma cercherò di essere sintetico.
L’opera più famosa di questo ricercatore, che ha provocato una caterva di polemiche, è Il gene egoista. In essa, Dawkins che è un genetista, espone un’idea in fondo semplice: gli esseri viventi sono veicoli e contenitori dei geni; attraverso essi, i vari patrimoni genetici attuano lo scopo di sopravvivere e diffondersi quanto più possibile nelle generazioni future.
Si tratta, in sostanza, di un ritorno all’AUTENTICO SPIRITO di Darwin, mistificato nelle versione corrente dell’idea evoluzionista dal miscuglio delle concezioni darwiniane con il progressismo sinistrorso e il buonismo di origine cristiana, che ne hanno fatto l’apologia di un presunto sviluppo ascendente indefinito nel tempo e garantito nella direzione mettendo in secondo piano o ignorando gli elementi veramente cruciali di questo pensiero biologico: la competizione fra gli individui, le popolazioni e i genomi, la selezione naturale, la sopravvivenza del più adatto, la spietata legge che condanna all’estinzione i più deboli e i mal riusciti.
Io ho affrontato diverse volte l’argomento, ma non sono stato certo il solo, sempre sulle pagine di “Ereticamente” vi ricordo il bell’articolo del nostro Michele Ruzzai Quale evoluzione?. Darwin è stato frainteso e falsato in modo da non fargli dire nulla che contrasti con l’ideologia progressista e democratica dominante. Come Konrad Lorenz, Dawkins è un ricercatore ONESTO che vuole ristabilire la verità senza preoccuparsi troppo che essa piaccia o non piaccia al potere dominante, e questo naturalmente, come nel caso di Lorenz, gli ha attirato l’odio della canaglia di sinistra.
La lezione della scienza biologica magistralmente dataci da Dawkins, ci fa comprendere che l’essenza della nostra civiltà non può consistere semplicemente in un complesso di idee, in una “cultura” rispetto a cui la genetica di coloro che ne sono portatori sia indifferente e intercambiabile con quella dell’ultimo venuto arrivato dall’altro capo del mondo. Un popolo, un’etnia, una cultura è essenzialmente la comunità di sangue tra i suoi membri. Gli alfieri della multietnicità hanno un solo obiettivo consapevole o inconsapevole: farci regredire a livello subumano e distruggerci come popoli attraverso l’imbastardimento e la sostituzione etnica.