di Mario M. Merlino
Oggi vi voglio raccontare una storia. Forse un po’ incerta, ma autentica. Quando avrò la possibilità di raccogliere dettagli più precisi, diventerà – è una ideuzza che mi frulla in testa – l’inizio di un libro che dovrei riuscire a scrivere a quattro mani (purchè non si finisca a quattro zampe!). In estrema sintesi: è la vicenda di due giovani che, intrecciando e separando di volta in volta la loro esistenza, partecipano all’esperienza della Repubblica Sociale e agli avvenimenti del dopo guerra fino al ’68. (Ieri era l’anniversario della ‘battaglia di Valle Giulia’, come venne chiamata nel poster in cui il sottoscritto e tanti camerati si fecero valere in prima fila. Avrei dovuto e potuto farne un momento epico rievocativo riflessivo su Ereticamente, ma non ho voluto per non tradire la mia natura di guerriero capace di coltivare in umiltà e silenzio le virtù della spranga e della molotov…).
Torniamo alla storia, che qui m’interessa proporvi. Se, poi, sottintenda una morale e quale essa sia, la lascio all’intelligenza del lettore. Magari collegandola ai due articoli precedenti in clima post-elettorale. Con la premessa che ero un ragazzino quando un vecchio bagnino me l’ha raccontata; da qualche parte poi vidi una fotografia del barcone (con il nome di una santa, mi sembra). Tutto qui.
Vi fu un anno particolarmente freddo sulla costa adriatica e a Rimini in particolare. Siamo durante gli anni Trenta, forse alla fine degli anni Venti. Certo il Fascismo ha conquistato il potere ed ormai l’ha ampiamente consolidato. Cadde una nevicata, quell’inverno, improvvisa fitta imprevista abbondante. A largo una paranza, per il troppo peso della neve, affondò e, nelle acque gelide, perirono tutti i pescatori che erano a bordo. Una tragedia del mare, il rischio di chi sfida il vento e l’onda. Solo il mozzo si salvò. Quella mattina, invece d’essere con gli altri a gettare le reti, si trovava nella piccola cella della stazione dei regi carabinieri.
Era accaduto che, il giorno precedente, mentre erano in navigazione, uno dei marinai s’era fatto vanto delle sue imprese squadriste. In una occasione erano partiti, lui ed altri camerati, per dare una sonora lezione ad un avversario nella zona del ravennate. Costui si trovava a tavola con i familiari in un isolato casale di campagna. All’intimazione di uscire, ben consapevole di cosa l’attendesse, s’era aggrappato al bordo del tavolo cercando di resistere a chi, strattonandolo, cercava viceversa di trascinarlo all’aperto. Allora, aveva proseguito il pescatore, egli aveva estratto il pugnale e l’aveva conficcato sul dorso della mano. A sentir questa storia, il tono della voce, lo sghignazzare, il mozzo s’era fatto rosso d’ira e di sdegno e l’aveva insultato, ricevendo la minacciosa risposta di pagarne le conseguenze al ritorno a terra. Così il maresciallo dell’Arma s’era premunito di rinchiuderlo nella cella di sicurezza – per il suo bene – in modo che si decantasse l’accaduto… La lite le minacce la benevolenza del maresciallo frutto del caso o della necessità? Qui cozzano i marosi del pensiero occidentale in costante contrasto fra loro; su questa plaga deserta vengono ad approdare i rottami del domandare. Forse è superficiale affidarsi ai luoghi comuni dove la saggezza dei fessi, i proverbi ad esempio, suggerisce come dove tutto appare perduto là si annida la salvezza.
(Apro una parentesi personale. Sovente mi dico di essere stato un uomo fortunato. – Ah, oui les femmes non l’argent? -… Mi riferisco all’essere finito fra i primissimi nelle maglie della repressione di qualche strategia interna deviata proveniente d’oltre-oceano o vento gelido degli Urali cortina di bambù interessi dollaro sette sorelle complotti gladio bianche gladio rosse intrigo segreti di Pulcinella massoneria l’ombra d’Israele fascisti su Marte cancrena colonnelli generali sceicchi kamikaze brigatisti brigadieri briganti. Intanto perché ho completato gli studi e mi sono laureato, realizzando nel proseguo e con qualche zeppa di troppo, messami di traverso, l’aspirazione di fare l’insegnante, maturata da adolescente al liceo. Soprattutto perché ho evitato la tentazione di provare la potenza delle mani trasformate in strumenti decisionali di vita e di morte…).
Mi dicono che qualcuno propone di fare un passo indietro, nella galassia prossima al numero zero, per il bene della causa comune (o propria?); altri che indugiano in dotte giustificatorie analisi dove ci si assolve – in clima di aspirata restauratio ecclesiae – e si delega ad altri ogni responsabilità. Non ricordo se Pinocchio tirò contro il grillo parlante una ciabatta… Un tavolo di confronto ove sedersi, con animo scevro da personali tatticismi, per trovare – ennesima aspirazione con reiterato tentativo – l’unità dell’area, magari senza chiedersi preventivamente se siamo ancora su terreno edificabile o dissestato dal terremoto o reso fanghiglia. Tutti, in fondo, timorosi d’essere relegati a un ruolo secondario rispetto a quello di custodi del niente…
Avevo anticipato che non avrei fatto della morale; che avrei lasciato al lettore cercare le possibili coordinate con il presente. Vedo che sto scivolando in questa direzione. Nietzsche scrisse ‘al di là del bene e del male’, poi, però, cercò la via ove realizzare la trasmutazione d’ogni valore e solo la follia, l’abbracciare un ronzino a piazza Carlo Alberto a Torino, lo salvò da proporsi novello Mosè con la tavola delle leggi in mano… Allora mi fermo alla storia che vi ho raccontato. Al possibile libro che
ho in mente – e che, intanto, da modesto piazzista comincio a reclamizzare -. Alla Rimini che, in anni successivi, mi avrebbe visto crescere, imparando prima a nuotare e andare in bicicletta che a camminare sicuro e senza dande. Mi fermo là dove, con un confronto tutto personale, affido alle sbarre e ai chiavistelli, più che alla mente e al cuore, il cammino che m’ha reso amico, come lo Zarathustra, l’aquila e il serpente, la sfida e la prudenza (nei punti esclamativi! Nelle certezze di adamantino nitore! In ogni atto giustificatorio ed assolutorio sulla straordinaria leggerezza del nulla contro ogni pesantezza dell’essere!)…
ho in mente – e che, intanto, da modesto piazzista comincio a reclamizzare -. Alla Rimini che, in anni successivi, mi avrebbe visto crescere, imparando prima a nuotare e andare in bicicletta che a camminare sicuro e senza dande. Mi fermo là dove, con un confronto tutto personale, affido alle sbarre e ai chiavistelli, più che alla mente e al cuore, il cammino che m’ha reso amico, come lo Zarathustra, l’aquila e il serpente, la sfida e la prudenza (nei punti esclamativi! Nelle certezze di adamantino nitore! In ogni atto giustificatorio ed assolutorio sulla straordinaria leggerezza del nulla contro ogni pesantezza dell’essere!)…