Avvertenza: un lettore, che vuol restare anonimo, mi ha inviato questo articolo. Nel pubblicarlo preciso che, oltre a dubitare dell’attendibilità di certi dati, non condivido le idee qui esposte. Aggiungo che, nell’attuale tumulto di opinioni, è difficile capire chi abbia torto o ragione. Ma, nel dubbio, ho sempre ritenuto più affidabile l’opinione della minoranza.
I
“Nei numeri è la sicurezza” (Giovenale)
Fonti affidabili ci dicono che questa è l’estate più calda da migliaia di anni. Antichi egizi, fenici, assiro-babilonesi, greci, romani, celti, goti, uomini del medioevo e del rinascimento ecc., nessuno di loro ha mai dovuto sopportare temperature così roventi. Il mondo soffre oggi di un’ipertermia che, se non curata, potrebbe provocare effetti catastrofici. Anche se alcuni si ostinano a negarlo, è un dato inoppugnabile. E se questo può da un lato preoccuparci, dall’altro è motivo di orgoglio. Infatti, per la prima volta nella storia, l’uomo ha strumenti sicuri per conoscere la verità.
In passato tutto era continuamente esposto al dubbio, la gente mancava di convinzioni saldamente fondate. Oggi invece, grazie alla scienza statistica, l’uomo ha eliminato le sue incertezze. Ogni fenomeno sociale, naturale o psicologico può esser tradotto in numeri, in proporzioni esatte. Questo ci permette di sapere con precisione quanto un’affermazione sia credibile o un evento prevedibile.
In epoche meno razionali della nostra gli uomini brancolavano come ciechi, inciampando nella realtà attimo dopo attimo. Come potevano sapere che le probabilità di precipitazioni erano del 52% o che il loro potere d’acquisto era calato del 115%? I cinquantenni potevano forse indovinare di avere un 59% di probabilità di ammalarsi di tumore al retto? Se oggi mettiamo insieme cento uomini di mezza età, 41 di loro possono guardare con fiducia al futuro del loro intestino. In passato erano lasciati in balìa del fato, senza possibilità di controllo sul loro destino. L’incertezza li costringeva a vivere nella paura, in quel timore che trae origine dall’ignoranza.
Oggi invece, anche chi di loro dovesse ammalarsi avrebbe il conforto dalla statistica. Saprebbe che ha il 65% di probabilità di morire entro un anno, il 38% in due anni ecc. E visto che le probabilità di una sopravvivenza a dieci anni sono del 4%, egli potrebbe, associandosi a 24 compagni con il suo stesso problema, guardare ancora con speranza al futuro. E per sperare di campare altri quindici anni (evento la cui probabilità è dello 0,5%) gli sarebbe sufficiente unirsi ad altri 199 malati come lui. La vita non è più, come un tempo, soggetta al capriccio del caso.
Prendiamo il caso di una donna sposata. Oggi sa che la probabilità d’essere tradita dal marito è del 72%. Questo dato le permette di ritenersi una delle 28 mogli con un marito fedele, e di sperare in un matrimonio duraturo. Certo, vi sono casi di flagranza in cui il tradimento ha un’evidenza del 99,99% (concedendo al fedifrago uno 0,01% di scuse plausibili). Ma anche in questi casi la statistica potrebbe informare la donna tradita che nel caso divorzi e si risposi le probabilità di un secondo divorzio sono del 69%, o che le possibilità di venir assolta dall’accusa di uxoricidio sono intorno al 2%. Il che le permette di decidere liberamente e consapevolmente della propria vita.
Ma è chiaro che il problema si sarebbe potuto evitare se i coniugi avessero usato il linguaggio preciso della statistica. Avrebbero potuto dire: “il nostro amore interno lordo è in calo tendenziale annuo del n% il che ormai comporta circa un n% totale. Serve dunque una manovra correttiva che favorisca una ripresa – almeno al n% – della nostra felicità coniugale nei prossimi cinque anni”, ovviamente dando a n il suo esatto valore.
Questi esempi dimostrano l’importanza fondamentale della statistica. Ogni decisione, ogni aspetto della vita, richiede precise indicazioni percentuali, proiezioni a breve, medio o lungo termine. Le diete come gli investimenti finanziari, le credenze religiose come l’attività sessuale, tutto dipende oggi dalla statistica. I suoi benefici coprono ogni campo e nessuno li potrebbe contestare se non ricorrendo a dati statistici, il che sarebbe una palese contraddizione.
Niente esprime meglio il valore della modernità che la percentuale, il poter illuminare l’intera gamma dei fenomeni con un %, portando chiarezza dove prima c’erano solo ombre e oscurità. Questo ha reso obsoleti e inservibili i vecchi modelli di verità, religiosi, filosofici e persino scientifici. Non servono infatti speculazioni o teorie sperimentali, sempre dubbie e confutabili. È il dato percentuale a riflettere l’oggettività del mondo reale, a tradurre la vita in precisi schemi matematici.
Questo richiede però uno sviluppo della razionalità. Secondo alcuni il problema è che l’uomo usa solo il 10% del proprio cervello. Ma questa idea è illogica perché, se usassimo effettivamente un decimo delle nostre capacità mentali, non potremmo saperlo. Infatti, per dire che uno strumento rende al 10%, dovremmo conoscere il suo funzionamento al 100%. In realtà, il vero problema non è cerebrale ma demografico e scolastico.
Occorre incoraggiare le coppie istruite a fare più figli e, viceversa, limitare le nascite nelle coppie formate da persone incolte. Infatti, tutti sanno che un bambino con genitori ignoranti ha il 78% di probabilità di restare ignorante. Se anche i nonni erano ignoranti, tale probabilità sale al 93%. L’ideale sarebbe perciò che solo le persone con un alto livello scolastico si riproducessero. Ma in questo senso la statistica ci inclina al pessimismo.
La natalità delle coppie con scarsa cultura è infatti di 2,3 figli contro lo 0,7 per le coppie in possesso di un’educazione superiore. E le proiezioni per i prossimi 10 anni indicano un ulteriore decremento nella prolificità delle coppie più acculturate, passando da 0,7 figli a 0,5. Il rischio, per altro, è che questo 0,5 comprenda solo la metà inferiore, producendo esseri umani senza cervello. Probabilità che è chiaramente del 50%. E questo è un dato gravissimo che deve farci riflettere.
II
“Son lo spirito che nega” (Goethe)
Se evoco questa drammatica possibilità è perché indizi di una società scarsamente razionale stanno già emergendo. Vi sono per esempio molti che ancora non credono alle statistiche ufficiali. Questo fenomeno, comunemente detto ‘negazionismo’, è oggi una minaccia per l’intera società. Perciò trovo condivisibile la proposta di renderlo un reato penalmente perseguibile.
Attenzione però! Non possiamo criminalizzare ogni negazione. Questo renderebbe anche l’affermare qualcosa un delitto, perché omnis determinatio est negatio. Non si può impedire alla gente di negare che la terra sia piatta o di laicamente negare i miracoli, l’esistenza di Dio ecc. In certo modo siamo tutti negazionisti. Occorre dunque chiarire il problema. Prendiamo cinque recenti affermazioni:
- chi non si vaccina muore e fa morire gli altri
- il riscaldamento globale è colpa dell’uomo
- è in corso una grave emergenza climatica
- tale emergenza si contrasta con una politica green
- i governi si adoperano per il bene dei cittadini
È chiaro come il negarle possa provocare gravi danni sociali. Questo è dunque il tipo di negazionismo che va denunciato. Prendiamo ora queste contro-affermazioni:
- chi si vaccina rischia gravi effetti collaterali
- il riscaldamento globale dipende da fattori naturali
- sono in corso pericolosi esperimenti per manipolare il clima
- le politiche green servono solo come copertura a speculazioni economiche
- i governi si adoperano per impoverire la gente e ridurne pesantemente la libertà
Ogni cittadino assennato sente il dovere di negare simili tesi, per altro sostenute da paranoiche teorie della cospirazione. Dovremmo per questo giudicarlo un negazionista? In senso letterale sì, ma il suo sarebbe un negazionismo legittimo, giusta reazione ad asserzioni false e pericolose.
Con quale criterio definiamo quindi il carattere illecito del negare? Riferendoci alla verità dei fatti. Il negazionista colpevole è colui che nega o distorce la realtà. Il negazionista innocente è invece colui che la giudica con cognizione di causa, e se nega certe cose lo fa a ragion veduta. Quindi, con piena liceità può negare le negazioni del negazionista che negano la verità (negatio negationis).
Potremmo a questo punto chiederci: qual è la verità? Domanda cui Cristo stesso non rispose. Tuttavia Cristo non disponeva di mezzi statistici. Il punto è che finché diamo alla verità caratteri filosofici o religiosi, ognuno conserverà dubbi e convinzioni personali. La verità resterà simile a una sfinge che fissa enigmatica il vuoto. E non potremo mai decidere obiettivamente cosa affermare o negare.
Il rimedio a tale scetticismo è la statistica. Considerando che solo i suoi schemi percentuali possono esprimere obiettivamente la realtà, otteniamo la seguente regola: la verità è l’opinione condivisa dalla maggioranza. Si dirà che non tutte le opinioni sono egualmente qualificate. Tuttavia, anche limitando il dato statistico agli esperti, non risolveremmo il problema. Vi sono infatti esperti ancora inesperti e altri con maggior esperienza. E tra un esperto e l’altro può esservi lo stesso divario intellettuale che corre tra un bambino e un uomo maturo. Un premio Nobel per la fisica, percentualmente, vale più o meno di dieci fisici mediocri? È impossibile dirlo.
C’è poi il problema morale. Dovremmo calcolare quali vantaggi personali si possano trarre dall’aderire a una tesi piuttosto che a un’altra, e noi sappiamo che la coscienza umana è in larga misura corruttibile. Tuttavia, esaminare e matematizzare i moventi di chi afferma o nega qualcosa significherebbe bloccarsi in un’analisi interminabile, pregiudicando la validità dei dati statistici.
Dobbiamo perciò considerare competenza e moralità elementi trascurabili, prevedere cioè che onestà e malafede, genio e stupidità, si compensino a vicenda. Se quindi una certa ipotesi è numericamente predominante, dobbiamo semplicemente adeguarci alla sua superiorità statistica. Fortunatamente i media già da tempo ci hanno predisposti a questa più oggettiva percezione della verità. Ma è ora che anche la legge intervenga.
Ovviamente dovremo attribuire una diversa rilevanza penale alle varie forme di negazionismo. Nessuno intende mandare in galera chi nega che la bresaola sia meglio della mortadella o che Omero sia mai esistito. Il dolo emerge nella misura in cui alcune negazioni possono indurre comportamenti lesivi degli interessi collettivi, della salute e della morale pubblica. Per esempio: negare che i vaccini vadano resi obbligatori, negare che si debba ridurre l’emissione di CO2, negare che l’identità sessuale sia una libera scelta ecc. Il dubbio è: chiamato in giudizio, il negazionista potrà difendersi negando di negare? Lascio ai giuristi il compito di risolvere questo paradosso.
Qualcuno dirà infine che non può esservi una verità al 51% e nemmeno al 99%, perché una cosa o è vera o è falsa, e non esistono mezze verità ma solo mezze bugie. Questo significa non cogliere il senso profondo della verità statistica: nel momento in cui un’opinione prevale essa diviene una verità al 100%, e come tale va resa inviolabile, come i tabù nelle società tribali. Perché di questo ha bisogno oggi il mondo, di verità non dubitabili.
È dunque giusto censurare, emarginare, punire i negazionisti. Perché rifiutano l’unica verità oggi possibile, quella basata su criteri statistici che sono, di fatto, un riflesso di principi democratici, e in tal modo minacciano il fondamento stesso della nostra società. Perciò tali individui son più dannosi di ogni pandemia e di ogni cambiamento climatico. Dipendesse da loro, l’umanità si estinguerebbe rapidamente, sterminata dai virus, o liquefatta da temperature estive degne di una fornace infernale.
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