Come certamente avrete presente, in questi anni, puntualmente, nell’occasione di determinate ricorrenze, 10 febbraio, 25 aprile, 1 maggio, ho dedicato a esse alcuni articoli. Vi devo confessare che al riguardo avevo deciso per l’anno in corso di astenermi dal farlo, perché mi sembrava di aver detto già a questo riguardo tutto quanto c’era da dire, ma ci ho ripensato: uno sguardo d’insieme su queste ricorrenze sarà senz’altro una cosa utile.
Cominciamo parlando del 10 febbraio: questa data è stata scelta in ricordo del 10 febbraio 1948, quando l’Italia firmò il trattato di pace imposta dai vincitori e dovette pagare il conto della sconfitta subita nella seconda guerra mondiale, un conto che fu estremamente pesante soprattutto per gli italiani del nord-est, costretti a fuggire dalle loro terre cadute sotto il tallone della Jugoslavia comunista, per non essere trucidati dagli assassini con la stella rossa.
I nostri connazionali costretti ad abbandonare le loro case e le loro terre per salvarsi con la fuga, furono oltre 300.000. Il numero preciso di coloro che furono trucidati dai partigiani comunisti, gettati negli inghiottitoi carsici noti come foibe, non si è mai saputo, ma si può stimare che furono migliaia, probabilmente decine di migliaia.
Su questa tragedia che ha colpito centinaia di migliaia di nostri connazionali colpevoli soltanto di essere italiani, la repubblica democratica e antifascista ha steso per decenni un velo di silenzio omertoso, colpevole e complice. Soltanto ricordare la sorte di coloro che hanno pagato per tutti gli Italiani il prezzo della sconfitta, significava essere “fascisti”.
Bisogna ricordare anche che i nostri profughi, una volta giunti “al sicuro” sul territorio (rimasto) nazionale, furono bersagliati dai comunisti nostrani da persecuzioni di ogni tipo, trattati come lebbrosi, avevano il torto di dimostrare con la loro stessa esistenza che i regimi comunisti, ben lungi dall’essere “il paradiso dei lavoratori” erano delle mostruose tirannidi grondanti di sangue umano.
Tuttavia, bisogna riconoscere che anche gli altri partiti “democratici e antifascisti” si sono rivelati per decenni altrettanto omertosi, nel tentativo di negare il fatto che non è nient’altro che la pura verità, che l’antifascismo si è macchiato di atrocità peggiori di quelle attribuite alla parte uscita perdente dal conflitto.
È stato finalmente negli anni ’90 del XX secolo quando in un raro momento in cui abbiamo avuto un governo di centrodestra, il governo Berlusconi, che si è avuta l’istituzione della Giornata del Ricordo del 10 febbraio, si è cercato di rendere a quei morti e a quegli esuli almeno il tributo della memoria.
I “comunisti”, i sinistri hanno dovuto abbozzare, perché una volta sollevato il coperchio della pentola, non si poteva richiudere così facilmente, ma l’hanno fatto assai di malanimo, lo si vede bene, i “nostri” media, controllati perlopiù da gente di sinistra, cercano di dare alla Giornata del Ricordo del 10 febbraio il rilievo minimo, e c’è poi una lunga storia di lapidi che commemorano la tragedia delle foibe imbrattate e infrante, a dimostrazione del fatto che il sentimento più forte dei “compagni” è l’odio verso i propri connazionali.
Vi racconto un episodio che illustra bene quale sia lo spirito della democrazia antifascista: a Trieste, nella centrale piazza Goldoni c’è un monumento astratto (in realtà piuttosto brutto). Trieste ha un’amministrazione comunale di centrodestra, e il sindaco Roberto Dipiazza pensava di intitolarlo “alle vittime di tutti i totalitarismi”. L’idea provocò una levata di scudi dell’opposizione di centrosinistra e non se ne fece nulla. La gente non deve sapere, soprattutto i giovani non devono sapere che il comunismo è stato una mostruosità lorda di sangue responsabile di atrocità peggiori di diversi ordini di grandezza a tutto quanto si è voluto attribuire al fascismo.
Nel 2020 Sergio Mattarella, che ha dimostrato più volte di non essere il presidente di tutti gli italiani, venne a Trieste per commemorare un “crimine fascista” in realtà inesistente, l’incendio dell’hotel Balkan, in realtà provocato dagli stessi sloveni, probabilmente perché gli scappò di mano il rogo che stavano facendo per distruggere documenti che non dovevano cadere in mano alle autorità italiane (si veda l’articolo che scrissi allora in proposito) e, in compagnia del suo omologo sloveno Bodrut Pahor, fece “un salutino” alla foiba di Basovizza e al poligono di tiro dove furono fucilati quattro terroristi sloveni. Nella circostanza fu proibito all’Unione degli Istriani di esporre il proprio stendardo. Si vede tutta la caratura politica e morale del personaggio e dell’antifascismo in genere: equiparare quattro terroristi responsabili di fatti di sangue, a decine di migliaia di nostri connazionali massacrati solo perché italiani. Se ne avessimo avuto bisogno, Mattarella ci ha ricordato una volta di più che “antifascista” significa sostanzialmente anti-italiano.
Sul 25 aprile sarei tentato letteralmente di tacere. Negli anni scorsi è diventata ormai una consuetudine da parte mia dedicare a questa grottesca ricorrenza che celebra la nostra sconfitta nella seconda guerra mondiale, un articolo su “Ereticamente”, tra l’altro anni fa ho dedicato alla Festa della vergogna un ampio saggio che è apparso su “Ereticamente” suddiviso in quattro parti. Altro che “liberazione”, la presenza di un centinaio e passa di basi americane sul nostro suolo sono lì a testimoniare quanto siamo stati liberati. Senza contare che per gli italiani del confine orientale, altro che liberazione, il crollo delle forze militari dell’Asse avvenuto tra fine aprile e inizio maggio 1945 è stato l’inizio della mattanza da parte dei boia comunisti.
Io continuo a chiedermi, questa grottesca celebrazione nella quale festeggiamo la nostra sconfitta nella seconda guerra mondiale come se fosse stata una vittoria, quanto sarcasmo dietro le spalle ci procuri all’estero.
In compenso il 4 novembre che ricorda la nostra ultima vera grande vittoria riportata nella prima guerra mondiale, è stata depennata come festa nazionale, e quello che forse è peggio, ridisegnata in modo più anodino come “festa delle Forze Armate”, peggio, perché oggi le nostre Forze Armate sono perlopiù impegnate in diversi teatri operativi come zuavi degli USA, e la nostra marina è perlopiù impegnata a raccogliere nel Mediterraneo finti naufraghi e finti migranti, in quella che diventa ogni giorno di più un’invasione strisciante.
Pensavo, riguardo al 25 aprile, di aver già detto tutto quel che è possibile dire, ma poi mi sono ricordato della grande lezione che ha dato George Orwell in 1984. Non a caso, questo libro davvero profetico è così odiato dai comunisti e altri sinistri. La manipolazione delle coscienze passa attraverso la manipolazione del linguaggio, concetto che Orwell sintetizza nel terribile inciso:
La guerra è la pace
L’odio è l’amore
La menzogna è verità.
E noi, da italiani, potremmo aggiungere:
Colpire alle spalle chi ancora difende la patria dall’invasore è resistenza
Finire sotto il tallone americano è liberazione.
Se capitate dalle mie parti a fine aprile – inizio maggio e andate a fare un giro per i paesi carsici come Opicina, Basovizza, Monrupino, vedrete esposte un florilegio di bandiere rosse e slovene. Non vi consiglio di esporre un tricolore italiano, rischierete di essere presi a sassate come minimo. I membri della minoranza slovena non hanno alcun dubbio, per loro il 25 aprile significa indubitabilmente la vittoria dell’elemento sloveno su quello italiano, e ci danno una lezione estremamente chiara, che è proprio quella che la repubblica democratica e la sua costituzione menzognera cercano di nasconderci a tutti i costi: la cittadinanza cartacea non conta nulla di fronte all’appartenenza etnica, una lezione su cui faremmo molto bene a riflettere soprattutto oggi che l’immigrazione sta trasformando la nostra terra in una realtà multietnica in cui saremo sempre più costretti a confrontarci con minoranze magrebine e subsahariane, dove quelli che accogliamo con spirito caritatevole vengono da noi con l’animo dei conquistatori.
Da un altro punto di vista, le bandiere rosse ci mostrano con altrettanta chiarezza il fatto fondamentale che questa celebrazione sarebbe probabilmente caduta in desuetudine se non per il fatto che, ben lungi dall’essere una festa “nazionale”, è quella di una precisa parte politica, appunto quella che è responsabile delle peggiori atrocità del XX secolo.
Qui il discorso si salda a quello dell’altra ricorrenza che arriva subito dopo, quella del primo maggio.
Oggi la ricorrenza del primo maggio ha molto in comune col carnevale e con halloween, è cioè una festa in maschera nella quale si finge di essere quello che non si è, oppure, se vogliamo, è una rievocazione storica nella quale la sinistra finge per un giorno all’anno di essere ancora quella che non è più almeno dal 1991, cioè dal crollo dell’Unione Sovietica, ossia una forza che rappresenti le classi lavoratrici.
È palese che dopo la caduta dell’Unione Sovietica, la sinistra nostrana si è ridisegnata a imitazione dei democrats americani e ha smarcato le classi lavoratrici per cercare di costruirsi un nuovo “popolo” di gay e immigrati, ha cioè buttato via il bambino insieme all’acqua sporca, insieme alla sudditanza all’Unione Sovietica, una qualsiasi idea di socialismo per abbracciare il sistema liberista con un entusiasmo da neofita.
Che la musica sia completamente cambiata, se ne sono accorti ad esempio i nostri lavoratori del settore tessile in sempre maggiore difficoltà a reggere la concorrenza delle aziende cinesi trapiantate da noi che riescono a tenere bassi i prezzi grazie a uno sfruttamento inverecondo e schiavistico del lavoro dei propri connazionali.
Costoro, rivolgendosi ai sindacati (ovviamente “rossi”) si sono sentiti rispondere che questi ultimi non avevano alcuna voglia di immischiarsi nella questione “per non parere razzisti”.
È razzismo difendere i nostri lavoratori? È razzismo pretendere che le leggi italiane, comprese quelle a tutela del lavoro, sul nostro suolo valgano per chiunque?
Naturalmente, i cinesi sono ben lungi dall’essere i soli immigrati la cui presenza causa problemi di convivenza con gli italiani nativi soprattutto appartenenti ai ceti popolari, pensiamo alle situazioni che si creano nell’assegnazione degli alloggi, negli asili nido, eccetera. Non c’è niente da fare: se sei un italiano nativo, hai sempre torto, ed è questo il vero problema di razzismo con cui ci tocca convivere: il razzismo della sinistra verso i propri connazionali, siano borghesi o proletari, la cosa non fa differenza.
Una cosa che ho a lungo percepito come una stranezza, è il fatto che oggi la sinistra si faccia promotrice, da un lato degli omosessuali o, come si dice oggi LGBT o LGBTIQ (la povera lingua italiana non pare sia mai straziata abbastanza) e dall’altro degli immigrati che vengono da Paesi omofobi, oltre che spesso ferocemente misogini, e se potessero, oltre a trattare le donne con meno considerazione del cane di casa, i gay li impiccherebbero come spesso avviene nelle loro terre d’origine. Sono sincero, mi pareva una contraddizione lampante.
Ditemi che sono poco perspicace, ma mi ci è voluto un po’ per capire il fil rouge che sta alla base di questa contraddizione: in entrambi i casi, la riduzione di quello che è un fatto biologico, l’appartenenza etnica o l’orientamento sessuale a una “scelta culturale” modificabile a volontà. Naturalmente, ciò significa avere una visione delle cose del tutto disancorata dalla realtà.
Io completerei ora il nostro sguardo d’insieme dando un’occhiata a due ricorrenze “mancate”, il 12 giugno e il 7 novembre.
Una proposta non raccolta del sindaco triestino Dipiazza, è stata quella di spostare qui a Trieste al 12 giugno la “festa della liberazione”. Per la città giuliana, come per tutte le terre italiane cadute sotto il tallone degli slavi comunisti, il 25 aprile, lungi dall’essere una liberazione di qualsiasi tipo, segnò l’inizio della mattanza, il genocidio verso chi aveva il torto di essere nato italiano. Il 12 giugno le truppe neozelandesi arrivate a Trieste, vi scacciarono gli assassini jugoslavi, ed è l’unico caso in cui si può forse parlare di liberazione relativamente ai tristi fatti della primavera 1945. Questo non toglie, naturalmente, che il massacro perpetrato dai boia con la stella rossa continuasse in Istria e nel resto della Venezia Giulia, e che per Trieste iniziassero nove anni di calvario sotto l’amministrazione militare angloamericana in cui la sua sorte fu costantemente in bilico. Nove anni destinati a culminare nel novembre 1953, quando gli angloamericani dispersero una manifestazione per l’italianità della città sparando ad altezza d’uomo, e fu già un miracolo che facessero “solo” sei morti.
In anni passati, qualcuno ha cercato di aprire un processo per le atrocità commesse dai comunisti jugoslavi contro la nostra gente, per dare ai nostri morti almeno il tributo della memoria. L’iniziativa fu subito bloccata dalle “toghe rosse”, non meno criminali di coloro che giudicano, con il pretesto che i fatti sono avvenuti in territori ormai sottratti alla sovranità italiana. Una scusa falsa e ipocrita, come è falso e ipocrita tutto ciò che proviene dalla falce e martello, perché c’è almeno una foiba rimasta in territorio italiano, la foiba di Basovizza, che ospita ancora i resti di migliaia di triestini uccisi dai partigiani iugoslavi, sempre per l’inespiabile colpa di essere italiani.
Il motivo per cui gli assassini comunisti furono scacciati da Trieste dopo quaranta giorni di martirio subito dalla città, è abbastanza chiaro: il 12 aprile era fortunatamente deceduto uno dei personaggi più nefasti del XX secolo, il presidente americano Franklin Delano Roosevelt, e il suo successore, Harry Truman fu l’uomo che si assunse la terribile responsabilità dei bombardamenti nucleari di Hiroshima e Nagasaki, ma almeno prese la decisione di contrastare l’avanzata del comunismo in Europa che Roosevelt aveva invece in ogni modo favorito. Purtroppo, questo fu possibile solo qui a Trieste, dove gli angloamericani si trovavano di fronte a rappresentare l’ideologia mortifera della falce e martello, non l’Armata Rossa, ma le bande jugoslave. È terribilmente ironico pensarlo, ma se Roosevelt fosse sopravvissuto ancora un mese o due, Trieste sarebbe diventata niente altro che un pezzo della Jugoslavia comunista, e oggi della Slovenia, la presenza italiana vi sarebbe stata cancellata con una violenza inaudita, come è avvenuto all’Istria e al resto della Venezia Giulia.
Il 7 novembre 1917 è la data in cui avvenne in Russia il golpe leninista poi falsamente presentato come “rivoluzione d’ottobre”, che abbatté non l’impero zarista che era già scomparso, ma la fragile democrazia guidata da Aleksander Kerenskij che gli era succeduta nel febbraio di quell’anno. “D’ottobre” perché in base al calendario giuliano allora ancora in uso in Russia, tale data corrisponde al 25 ottobre. Non fu una rivoluzione, e non avvenne d’ottobre. Per i Russi, passare dal regime zarista alla tirannide sovietica dopo una breve parentesi democratica, fu cadere dalla padella nella brace, per il mondo intero l’inizio di una catastrofe distruttiva che avrebbe insanguinato il XX secolo sotto l’egida di un’ideologia ingannevole che non avrebbe portato a nessuna liberazione delle classi lavoratrici, ma seminato dovunque centinaia di milioni di morti.
Cosa strana, il mutevole gioco dell’opinione pubblica americana, fra due pupazzi maggiordomi del Nuovo Ordine mondialista come Obama e Biden, è salito alla Casa Bianca un uomo: Donald Trump. Il presidente Trump ha proposto di istituire il 7 novembre come Giorno della Memoria delle vittime del comunismo. Non so quale seguito abbia avuto questa proposta negli USA, specialmente oggi che è di nuovo tornato alla Casa Bianca un pupazzo del NWO, talmente degno di stima che persino il papa emerito Benedetto XVI ha vietato che intervenisse ai suoi funerali, ma di una cosa sono assolutamente certo: i liberal nostrani (perlopiù ex comunisti) sempre pronti a scimmiottare tutto quanto viene dagli USA, questa commemorazione non vorranno certo imitarla.
“La maledizione degli uomini è che dimenticano”, dice Merlino nel film Excalibur di John Boorman, ma noi siamo qui per contrastare l’oblio e far conoscere la verità.
NOTA: Nell’illustrazione, il comunismo ha condizionato in modo orribile tutta la storia del XX secolo, cercando di costruire la sua utopia sopra una montagna di cadaveri.
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