Gli uomini primitivi erano coperti di peli, deambulavano goffamente, comunicavano con gesti rozzi e grugniti, trascinavano brutalmente le donne al talamo, cacciavano animali che poi sbranavano avidamente, formavano orde tribali per ammazzarsi tra loro con sordida ferocia. Avevano un sacro terrore degli elementi naturali, cui riparavano con infantili superstizioni. Come lo sappiamo? Non lo sappiamo. Son solo fantasie con cui l’uomo moderno proietta sé stesso su immaginari ominidi del passato. Si illude così d’essersi ‘evoluto’.
Prendiamo, ad esempio, quegli sbirri e veterinari che pochi giorni orsono, col pretesto della peste suina, han massacrato maiali sani, manganellando brutalmente chi cercava di salvarli. Dirli ominidi sarebbe un eufemismo. Maiali che uccidono maiali, ho pensato. Ma sarebbe ingiusto assimilare così vittime e carnefici. I maiali uccisi avevano probabilmente pensieri e sentimenti più evoluti rispetto ai loro assassini. Fatti simili dimostrano, più di ogni teoria, che l’evoluzione dell’uomo è solo una dubbia congettura.
Da un lato animali docili e intelligenti, salvati dal mattatoio, legati ai loro salvatori da vincoli d’affetto. Dall’altro la stupidità e la crudeltà dell’uomo – malattie assai peggiori della peste suina – che li raggiunge ugualmente e non ha pietà di loro, né dei loro amici. Si dirà che ogni anno ammazziamo milioni di maiali. E confronto alle tante vittime di violenze, guerre, naufragi ecc., cos’è l’abbattimento di qualche suino? Benedetta retorica, oppio della società borghese. È che quella strage ha qualcosa di emblematico e orribile.
Ma forse, la nostra violenza verso i maiali conoscerà infine la sua Nemesi. Pare infatti si vogliano ibridare cellule umane con cellule suine. Così, dopo aver ammazzato questi sfortunati animali per farne salsicce e prosciutti, potremo trapiantarne gli organi nell’uomo. I tipici deliri di una scienza sempre più folle e sempre più collusa col mercato. Alcuni già calcolano quanto potrebbero guadagnarci. Chissà che, grazie a queste mostruose ingegnerie, le cellule suine non invadano il nostro cervello o altri organi, trasformandoci in bio-chimere, come quegli esseri mitologici che erano parte uomo e parte cavallo o capro, o come gli abominevoli incroci del dottor Moreau. Qualcuno inorridisce, si sgomenta. Ma forse maialificare l’uomo potrebbe migliorarlo.
Del resto, l’evoluzionismo è un mito creato nel Novecento, forse propedeutico al più recente transumanismo. In realtà, a me pare che una crescita spirituale e intellettuale sia possibile solo a livello personale. Questa evoluzione consiste nel mettere ordine nella propria vita, nella propria mente, nel proprio cuore. Fatto scientificamente inspiegabile, che contraddice l’entropia, ma che a volte accade. Per quanto riguarda la specie nel suo complesso, credo invece più probabile vi sia stata un’involuzione. Non penso perciò che gli uomini preistorici fossero più zotici, brutali o superstiziosi di noi. L’uomo primitivo non è per me un abbozzo dell’uomo futuro, ma l’esemplare vigoroso di un άνϑρωπος che poi si è stemperato in innumerevoli riproduzioni, come eco ripetute che perdono di forza, facendosi sempre più confuse.
Credo che l’uomo primitivo avesse una coscienza più incontaminata, come acqua chiara, trasparente, in cui la realtà si rispecchia. Se osservo le antichissime pitture rupestri, le trovo rischiarate dalla luce di un’anima semplice e già matura. Non è ingenua naïveté ma testimonianza di uno spirito che si libra e si libera nello spazio della bellezza, della catarsi estetica. Partecipe di quella intuizione del mistero che colma l’animo di stupore e di rispetto, e gli ispira quei sentimenti di devozione che noi abbiamo perduto. Le opere contemporanee, al confronto, sono involute, evacuazioni di una vita caotica, formicolante e distratta, che più cerchiamo di spiegare meno comprendiamo.
La testa dell’uomo moderno è una melmosa palude, dove ronza ogni sorta di insetto malarico. Siamo lontani dalla natura, schiavi di astrazioni, inseguiamo idee che viaggiano più veloci di noi, cercando inutilmente di raggiungerle. Idee che trasformano la realtà a ritmi vertiginosi, oltre le nostre capacità di adattamento. Siamo perciò condannati a essere obsoleti, anacronistici, inadeguati, sempre superati dagli ectoplasmi del progresso. Osserviamo la vita che passa e che ci sfugge, ora con occhi miopi, ora presbiti, senza mai riuscire a metterla a fuoco. La vita che si sfalda in statistiche fluttuanti, in nebulose percentuali, rappresentazioni misteriche in cui le cifre hanno sostituito i vecchi Dèi.
Tuttavia, nella nostra supponenza mitologica, ci crediamo superiori agli uomini primitivi. Ci pare una fortuna nascere oggi, con tutte le comodità che il progresso ci ha regalato: lavatrici, automobili, aeroplani, computer, farmaci ecc. Ancor meglio, nascere nel futuro. L’età dell’oro non è dietro ma davanti a noi, in una civiltà totalmente emancipata dai limiti e dagli impacci della natura, anche di quella umana. Perciò guardiamo a quell’essere cavernicolo, lo immaginiamo animalesco, sudicio, e ci rallegriamo pensando quali passi da gigante ha fatto l’umanità.
Eppure, se giudicassimo un’epoca dal livello della sua arte, dovremmo ammettere che quei nostri remoti parenti erano più evoluti di noi. Di fatto, quel che si è evoluto non è l’uomo, sono le macchine. E continueranno a evolversi, pare, finché un giorno forse domineranno il pianeta. La nostra presunta superiorità consiste dunque in un progresso che ci ha reso inferiori a delle macchine. Per il resto, la bestialità, l’ottusità, le assurde credenze che attribuiamo all’uomo primitivo, son solo un affiorare del rimosso, di ciò che non vogliamo riconoscere in noi stessi.
Il classico laudator temporis acti – per il quale il presente rappresentava sempre una forma di decadenza – ha lasciato il posto al laudator temporis venturi. Scartati i mitici passati, ci si rivolge ora a mitici domani. Favolose correnti ascensionali ci spingono verso le vette inesplorate del trans-uomo. I nostri avi ci appaiono grezzi incunaboli del tipo moderno. Eppure, retrocedendo nel tempo, incontriamo sempre uno stesso uomo. Idiota o intelligente, buono o malvagio, ma sempre dotato di un’identica natura. Nei suoi disegni, nelle sue trame, la stoffa umana appare intessuta sempre con lo stesso filo.
Indubbiamente uomini di altre epoche ci sopravanzano nella creatività artistica, nel pensiero religioso, filosofico e morale, nella cultura, nel linguaggio. Ma in generale credo che l’uomo moderno sia stupido, crudele, egoista, avido, vizioso, ipocrita, quanto lo poteva essere un antico egiziano o un cittadino di Babilonia. Si può supporre semmai che gli uomini di due o tremila anni fa, essendo meno istruiti di noi, facessero un miglior uso dell’intelligenza. D’altro canto, penso sia sempre esistita un’esigua fetta di umanità che persegue nobili ideali.
Tuttavia, sembra essersi creata oggi un’eccezionale sproporzione tra la volgarità delle masse e la ristretta aristocrazia dello spirito. Forse causa ne è la sovrappopolazione. Infatti, per un fenomeno di cui ignoro le cause, la prima pare aumentare in proporzione all’incremento demografico, mentre l’altra resta invariata. Inoltre, un tempo si contenevano i bassi istinti umani mediante un’educazione morale e religiosa. Ma religione e morale appaiono ormai come forme di onanismo intellettuale, o come un insieme di freni inibitori che ostacolano l’evoluzione e il progresso. Perciò qualcuno ha deciso che quella pedagogia, con i suoi pregi e difetti, andasse sostituita col nichilismo, con una trasmutazione di valori, con la propaganda politica, la pubblicità commerciale, le serie televisive ecc.
Il capitalismo, che in pratica è oggi l’unica vera religione, ha provveduto già da tempo a emanciparsi da quegli scrupoli morali che potevano intralciarne il cammino. Il mercato deve essere libero di seguire le sue pulsioni. Chi osasse dubitarne verrebbe ipso facto scomunicato. Anche il piacere sessuale si è gaiamente liberato delle clausole che una certa precettistica gli ha imposto per secoli. Ogni nostro desiderio si giustifica per la sua stessa natura desiderante. “Cupio ergo sum”. Dunque, se mi impedisci di desiderare quello che desidero, mi proibisci di essere. E anche questa, dobbiamo riconoscerlo, è una logica inoppugnabile.
Qualche diroccato vestigio di moralismo affiora ancora dietro il rifiuto della violenza, la sollecitudine per i soggetti fragili, la tolleranza per i diversi, la preoccupazione per l’ambiente ecc. Siamo tutti rispettosi, responsabili, fieramente civili. Ma è un’etica che si limita a dibattiti, commenti e glosse edificanti. Distrazione retorica, che serve a nascondere l’immoralità, ad aborrire i nemici e tutti coloro – bigotti, oscurantisti, tradizionalisti – che opponendosi alle spinte progressiste frenano l’evoluzione della specie umana.
In sostanza, della moralità conserviamo gli aspetti funzionali ai nostri interessi – i quali si fondano a priori su buone ragioni. Così, dopo gli istinti erotici e neo-liberisti, anche la libido tecnico-scientifica mostra una crescente insofferenza per le pastoie imposte dalla morale, dai sofismi metafisici o da qualche reazionaria antropologia. Perché proibire la clonazione di esseri umani i cui organi si potrebbero usare come pezzi di ricambio? Perché non introdurre nelle persone sistemi elettronici o sostanze chimiche che permettono di controllarne le azioni, i pensieri, le emozioni? Perché rinunciare all’idea di creare esseri ibridi mescolando – che so? – geni di rettili o di scimmie con quelli umani per farne mano d’opera gratuita?
Buttata la zavorra della prudenza e dell’umanità, superate le colonne d’Ercole della fede e della morale, ecco un oceano infinito di possibilità, di lucrose applicazioni. Non v’è limite, solo una rotta da percorrere con lucida determinazione, senza permettere che remore e dubbi ci rallentino. La nostra civiltà è come un’automobile priva di freni che corre verso il futuro. Spinta da una furia demonica e insaziabile, preme sull’acceleratore del progresso, incurante delle conseguenze, di semafori morali, di stop religiosi. Dunque, se sulla sua strada apparirà improvvisamente un muro, vi si schianterà. Se si aprirà davanti a lei un baratro, vi precipiterà. E tutto sommato credo sarebbe preferibile cadere nel vuoto piuttosto che nell’incubo transumano verso cui stiamo andando.
Diceva Lorenz che l’uomo conserva le belluine emozioni di un uomo primitivo, solo che invece di maneggiare clave dispone di ordigni nucleari – e oggi di armi ancora peggiori – con cui può distruggere la vita su questo pianeta. Osservazione amara e drammatica, ma francamente non posso sapere quali fossero le emozioni di un uomo preistorico o la sua moralità. Viceversa, ho potuto constatare che pulci, pidocchi, zecche, non posseggono sentimenti morali compatibili con una pacifica convivenza, col reciproco rispetto. Il dramma è che siamo dominati da persone la cui etica è più o meno quella di un parassita. E non sappiamo come liberarcene.
Tuttavia, non esistono destini già scritti. Finché conserveremo un grammo di libero arbitrio, il futuro dipende ancora dalle nostre scelte. In questo senso, credo che l’educazione che riceviamo e che trasmettiamo sia la nostra eredità più preziosa. Gli Arapesh e i Mundugumor studiati da Margaret Mead mostrano chiaramente come una comunità possa essere educata alla mitezza, alla gentilezza, alla cooperazione, o viceversa all’aggressività, alla sopraffazione, alla competizione brutale. Purtroppo la nostra società, che si regge sulla dialettica dominante-dominato, stimola il Mundugumor che è in noi, mentre dal gene Arapesh, opportunamente ingegnerizzato, ricava il ‘buon cittadino’, questa larva servile e remissiva su cui poggia il Potere.
La volubilità del progresso richiede per altro che le basi ferme dell’educazione morale e spirituale vengano demolite e sostituite con strutture provvisorie, elastiche, che si possono tendere all’infinito. Quello che ieri era abietto, confine invalicabile della coscienza, oggi è prassi accettata, domani obbligo morale. L’orrore diventa bellezza, la perversione si trasforma in legge. Non vediamo il volto vero della nostra società, putrefatto come quello di Dorian Gray, perché lo sottoponiamo a chirurgie estetiche, a cosmesi lessicali, ne copriamo il fetore con deodoranti retorici. Strumento par excellence di questa degradazione sono i media, che fanno una sintesi di tutte le falsificazioni e le distribuiscono al popolo, rendendo gli uomini moderni i più stupidi e i meno liberi che siano mai esistiti.
Si è così prodotta in noi una lussazione dello spirito, e pare non esistano ortopedici o conciaossa in grado di curarla. Alcuni, disorientati, cercano guru, maestri, guide spirituali. Purtroppo, nessuna religione o filosofia ha mai mutato le strutture profonde, la mentalità e i comportamenti su cui si fonda la nostra civiltà. I conquistadores di Cortez erano battezzati e comunicati, ascoltavano Messa, credevano in Dio e in Cristo, ma non erano diversi dai soldati di Alessandro, di Cesare o di Annibale, né dagli indiani, cinesi, arabi ecc. che in ogni epoca hanno trucidato e depredato i loro simili. Saggi, profeti, avatar, messia, non son bastati a sradicare la ferocia e la razzia dai nostri cuori.
Le religioni hanno acceso davanti all’uomo una luce ma “le tenebre non l’hanno accolta”. La luce mostra all’uomo tutta la confusione e la sporcizia che sono in lui, la necessità di far pulizia e metter ordine dentro di sé. Gli ricorda l’archetipo umano di cui egli è ormai solo una grottesca caricatura. Ma noi non abbiamo l’obiettività sufficiente per ammetterlo. Diciamo: “questa è la vita, la natura, così è l’uomo”. La giustificazione che diamo ai nostri vizi e alle nostre colpe è che non dipendono da noi ma da un mondo che funziona in tal modo, che non si può cambiare. Perciò, per paura, per pigrizia, per sfiducia, ci asteniamo da quei gesti anche piccoli, controcorrente, ribelli, che potrebbero imprimere al corso degli eventi un’altra direzione.
Se quelli che hanno ammazzato i maiali nel ‘Santuario-rifugio’ e malmenato i loro inermi difensori si fossero rifiutati di farlo, le fondamenta di questa scellerata società avrebbero per un attimo vacillato. Se smettessimo di eseguire ordini folli e criminali, di pendere dalle labbra di cattivi maestri, di affidarci a bugiardi patologici, quello che chiamiamo ‘realtà’ cambierebbe. Se questo non succede è perché la gente condivide un sistema di credenze che è funzionale alla difesa dello status quo e dei suoi equilibri di potere.
Qui sta il problema più essenziale: cosa realmente crediamo? Che l’universo è retto da una forza cieca, un istinto di appropriazione, una lotta per la sopravvivenza dominata dalla fame e dalla paura, in cui “la mia forza è il mio diritto” e i più deboli devono soccombere? Siamo figli del caos, della violenza, dell’orrore? Fosse così, avrebbero ragione gli speculatori, i politici corrotti, i grigi burocrati, i soldati che ammazzano, stuprano e saccheggiano. Anche i mandanti e gli esecutori di quella idiota, barbara mattanza di maiali, come potremmo biasimarli?
Non vi sarebbe alcun ordine naturale o morale cui attenersi. Potremmo trasformare esseri umani in mostruosità biologiche o in droidi, applicare uteri ai maschi, membri maschili alle donne, far concepire e partorire i bambini alle macchine, fabbricare armi apocalittiche, avvelenare, inquinare, praticare l’inganno, la schiavitù, la tortura, lo sterminio ecc. E tutto questo sarebbe legittimo in quanto espressione di processi ineluttabili, o di un fondamentale non senso. Ci crederemmo liberi, ma saremmo incatenati ai meccanismi che determinano la nostra esistenza, o alla sua casualità.
L’alternativa a questa visione disperante sono i Rishi vedici, Zoroastro, Buddha, Lao-tze, Gesù, Ramakrishna. Un Principio divino orienta il cosmo verso il Bene, la libertà autentica è basata sulla compassione e la verità, ci dicono. Se ci credessimo realmente agiremmo di conseguenza. Si dirà che non siamo tenuti a credere a nulla e a nessuno. Tuttavia, non possiamo capire se non crediamo. Ciascuno di noi cerca un senso nelle cose, o il Senso, quando guardiamo alla totalità. Ma non possiamo imparare nulla se non abbiamo fede in chi ci insegna, e nella nostra capacità di interpretare la realtà.
Quindi, ognuno si scelga i suoi maestri. Alcuni diranno che siamo parte di una natura senz’anima, casuale fenomeno biologico preso nella rete di un insanabile conflitto. Per altri siamo scintilla di uno Spirito che tende alla pace e alla bellezza. In cosa consiste dunque la nostra umanità? Sono più umani gli Arapesh o i Mundugumor? E infine, che farà di noi il Fonditore di bottoni? Quello che crediamo è in fondo una scommessa, come diceva Pascal. Guardiamo alle nostre esperienze, al mondo fuori e dentro di noi, ragioniamo e cerchiamo una risposta. Ma non basta, la nostra decisione deve fondere in sé intuizione e volontà.
Questo significa oggi scegliere tra un progresso avvolto in una caligine satanica, satura di vapori intossicanti, di spettri furiosi e allucinati, e il recupero di una più naturale saggezza, che è ricerca di armonia col creato, ritorno a quell’uomo primitivo che è in noi non come entità storica ma come realtà metafisica. Siamo sospesi tra umano-demonicità e umano-divinità, e dobbiamo prendere una via. Questa opzione cruciale non è legata alle parole e alle teorie ma al Cuore. Nasce dal centro del nostro essere e si riflette sul nostro destino. E ovviamente su quello di altre creature, siano uomini o maiali.
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