La caduta dell’Unione Sovietica nel 1991 ha rimosso gli ultimi ostacoli, ormai solo di ordine politico e non tecnologico, alla nascita di un mondo globalizzato e interrelato sotto ogni aspetto, oltre a lasciare il campo a un’unica superpotenza mondiale egemone.
L’ampiezza e la radicalità di questo cambiamento rispetto al passato anche recente, ancora oggi spesso non sono adeguatamente percepite. Quello però che soprattutto sfugge ai più, è che questo mondo globalizzato che per alcuni versi finisce per collimare con antiche ideologie cosmopolite, quella illuminista innanzi tutto, è ben lontano dall’essere un mondo migliore: non solo il potere economico è sempre più concentrato nelle mani di una ristretta oligarchia di capitalismo finanziario puramente parassitaria, ma è visibilmente in atto un piano per far regredire tutte le conquiste sociali ottenute dalle classi lavoratrici europee nei decenni precedenti.
Nell’ambito di esso, l’immigrazione extracomunitaria in Europa esercita un ruolo chiave. Non si tratta soltanto dell’immissione sul mercato del lavoro europeo di un’enorme quantità di braccia a bassissimo costo che, per la legge della domanda e dell’offerta, non possono produrre altro che il deprezzamento dell’offerta lavorativa dei nativi europei. Il fatto è che queste persone, insediandosi stabilmente in Europa, contribuiscono a frantumare le appartenenze nazionali, in modo tale che la finanza internazionale non dovrà fare i conti con comunità nazionali coese, ma con una società meticcia frammentata in una miriade di entità individuali, e quindi non in grado di opporre resistenza a forme di dominio che si riveleranno sempre più schiavistiche, è quel che è perlopiù noto come piano Kalergi.
Tutto ciò l’abbiamo visto più volte, ma ora esamineremo le cose sotto un aspetto diverso, quello delle ideologie generate dallo stesso progetto mondialista, che si mostrano come opposizioni allo stesso, ma in realtà non rappresentano per esso nessun pericolo, perché da esso traggono la loro esistenza, ed esistono proprio per impedire la nascita di forme di opposizione realmente efficaci.
Se proprio vogliamo, esiste anche un’ideologia pro-globalizzazione (a prescindere ovviamente dal fatto che i No Global di cui parliamo tra poco rappresentano un’opposizione alla globalizzazione del tutto mondializzata nel senso più deteriore del termine), perlopiù limitata allo strato “high Class” dell’alta borghesia da sempre sostanzialmente apolide e in genere “schierata a sinistra” per nascondere – dietro un dito – la sua appartenenza ai ceti del privilegio. Un tipico esemplare di questa fauna del tutto estranea al corpo vivo della nazione, è ad esempio in Italia una Laura Boldrini.
Tuttavia essa è confinata a un numero di persone ben ristretto, e se ci pensiamo bene, anche questo è un dato significativo: il cosmopolitismo “citoyen du monde” è stato una delle grandi illusioni dell’illuminismo, che oggi non trova rispondenza nella realtà: la gente comune ha la percezione – a mio parere assolutamente esatta – che il “mondo globale” dominato dall’alta finanza internazionale, oligarchia apolide e parassita, sia una minaccia al suo benessere e alla sua libertà, oltre che il definitivo, totale fallimento delle idee illuministe.
Considerando le presunte opposizioni alla globalizzazione, parliamo innanzi tutto del movimento No Global che ha esordito nel 1999 con la protesta del cosiddetto “Popolo di Seattle”, e si è ovviamente subito caratterizzato come un movimento di sinistra radicale. La globalizzazione non è altro che l’aspetto economico del fenomeno mondialista che tende a una omologazione planetaria, alla sparizione delle identità, alla creazione di società multietniche sull’intero globo terracqueo. Ora, che senso ha voler mantenere dei segmenti di economia separati dal mercato globale se contemporaneamente si accettano, anzi ci si fa paladini dell’omologazione culturale e soprattutto etnica? Evidentemente nessuno!
Sarà proprio perché l’ideologia No Global si fonda su di un assurdo logico, che il movimento è di fatto divenuto un contenitore per gli estremisti di sinistra più violenti, e senza presentare nessun elemento propositivo. Di certo, non si apporta alcunché di positivo al mondo sfasciando vetrine e bruciando cassonetti. Altro, i No Global non hanno dimostrato di saper fare.
E’ chiaro che la globalizzazione e il movimento mondialista di cui di cui essa è solo un aspetto, non saranno mai minacciati da una protesta che non ha nulla di positivo da proporre, che è a tutti gli effetti una pratica di teppismo fine a se stesso.
Altra cosa sono ovviamente i movimenti identitari che contestano il mondialismo nell’ottica della salvaguardia di precise identità etniche, culturali e storiche, movimenti aspramente avversati dalla sinistra (tanto “istituzionale” quanto No Global) e considerati più o meno in blocco “fascisti”, e contro di essi, i No Global svelano il loro vero volto di cani da guardia del sistema mondialista.
Io penso che sarebbe appena il caso di menzionare certi movimenti di sinistra che si collocano a metà strada fra la sinistra “istituzionale” ormai del tutto convertita al liberismo e volonterosa attuatrice dei disegni mondialisti del piano Kalergi, e i No Global, movimenti quali Syriza in Grecia, Podemos in Spagna e il Movimento Cinque Stelle in Italia, che sono riusciti ad avere un immeritato consenso approfittando del malessere della gente, e rubando occasionalmente slogan ai movimenti identitari.
Non si tratta che di un imbroglio, un imbroglio per ammissione aperta degli stessi leader di questi movimenti; ad esempio in Italia i dirigenti dei Cinque Stelle hanno più volte ripetuto che esistono per “tenere a sinistra” una protesta che altrimenti andrebbe in tutt’altre direzioni, per impedire che in Italia ci possano essere movimenti come la greca Alba Dorata o l’ungherese Jobbik, sono come la medium di Manzotti, i cui adepti continuano a implorare una seduta anche dopo che lei ha mostrato loro i suoi trucchi, i fili che fanno ballare i tavolini. Urta e infastidisce vedere che questi ciarlatani che hanno per leader un ex comico trasformatosi in buffone, trovino a volte simpatie anche in ambienti “nostri”.
Una realtà completamente diversa da quella dei No Global è rappresentata dai movimenti identitari. Tuttavia è chiaro che per prima cosa occorre capirsi su cosa s’intende per identità, su quale è la comunità di cui ciascuno di noi può riconoscersi parte, ed è proprio a questo livello, sfruttando questa inevitabile ambiguità, che il nemico, un nemico incredibilmente astuto oltre che dotato di mezzi estremamente potenti, può rivoltare contro di loro le armi di coloro che vorrebbero difendersene.
Identità troppo ristrette, separatiste e localistiche, oltre a contrapporsi – ovviamente – le une alle altre, sono destinate facilmente a diventare scogli che saranno sommersi al montare della marea, o peggio, strumenti per intaccare e disgregare quell’identità nazionale che sola potrebbe offrire resistenza all’assalto del mondialismo multietnico, ed è esattamente questo che prevede il piano Kalergi.
Io vi chiedo scusa: ho toccato questo argomento la volta precedente nella trentesima parte di Una Ahnenerbe casalinga, e adesso, oltre alla citazione di Gerd Honsik, non posso fare altro che ripetere le mie stesse parole:
“Non vi pare che al riguardo si debba prendere in considerazione quanto ha da dirci lo scrittore austriaco Gerd Honsik che ha pagato “la colpa” di aver svelato al mondo Il piano Kalergi in 28 punti con un lungo periodo di detenzione inflittogli da una democrazia per la quale esprimere le proprie idee e ancor di più dire alla gente la verità è un reato inammissibile?
Ecco cosa ci racconta nel suo libro:
“Kalergi proclama l’abolizione del diritto di autodeterminazione dei popoli e, successivamente, l’eliminazione delle nazioni PER MEZZO DEI MOVIMENTI ETNICI SEPARATISTI o l’immigrazione allogena di massa”.
Le identità nazionali, prevedeva Kalergi, devono essere sottoposte a un doppio attacco, “dall’alto” attraverso l’immigrazione e il meticciato multietnico, e “dal basso”, scatenando i separatismi e i localismi. Molti “identitari” non se ne rendono conto, ma spingendo all’assurdo il separatismo e il localismo, contribuendo a frantumare le identità nazionali, fanno semplicemente il gioco del nemico, diventano suoi strumenti”.
Come se non bastasse, Accanto alle parole di Honsik possiamo allineare quelle di un membro della famiglia Rotschild, Edmond de Rotschild che le pronunciò in un’intervista rilasciata alla rivista francese “Entreprise”, pubblicata il 18 luglio 1970. Si tratta di un’incauta ammissione da parte di un nemico, di uno di coloro che hanno deciso l’estinzione dei popoli europei.
«Le strutture economiche seguiranno la stessa evoluzione delle strutture politiche. In questo, l’Europa occidentale, ossia i sei Paesi del Mercato Comune più Gran Bretagna, e forse Irlanda e Paesi scandinavi secondo modalità da definire costituiranno un’Europa politica federale. Ma poiché ogni individuo prova il bisogno di situarsi in un ambiente ristretto, si identificherà ad una provincia, sia il Wuttenberg o la Savoia, la Bretagna, l’Alsazia-Lorena o il Paese dei Valloni. In queste condizioni la struttura che scomparirà, il lucchetto da far saltare, è la nazione, perché inadatta al mondo moderno; a volte è troppo piccola, a volte troppo grande».
Che la data sia quella del 1970, non ci deve stupire: il piano Kalergi per l’annientamento dei popoli europei ha subito due grandi battute d’arresto, prima con l’emergere dei fascismi, poi con la Guerra Fredda, ma “l’ideale” della distruzione dei popoli europei per sostituirli con una turba meticcia di schiavi, da parte del capitalismo finanziario-parassitario è sempre rimasto vivo.
Vi invito a riflettere sulle parole del signor Rotschild: gli stati nazionali sono nel contempo troppo piccoli perché lontani dallo spersonalizzante “ideale” cosmopolita, e troppo grandi perché potenzialmente capaci di una resistenza all’ondata mondialista che le micro-patrie formato giocattolo non possono certo avere.
In Italia le cose sono certamente messe peggio che altrove, abbiamo la disgrazia di trovarci proprio al centro del FRONTE (nel senso di fronte di guerra) mediterraneo, di ricevere direttamente e per primi l’impatto dell’invasione. Abbiamo tutto contro, a cominciare dal fatto di avere un’identità nazionale fragile che porta ancora ben visibili i segni di quindici secoli di assenza dello stato nazionale e di dominazioni straniere, una povera Italia la cui anima è impestata di marxismo e di cristianesimo, e dal buonismo ipocrita di entrambi, che ci spingono verso il suicidio etnico.
È quanto mai sciaguratamente significativo il fatto che in Italia non si trovi nulla di simile ad Alba Dorata, a Jobbik, al Front Nationale francese, che l’unico movimento identitario importante che oggi si oppone all’immigrazione e alla confisca della sovranità nazionale da parte della UE, sia una Lega ex separatista.
Oggi essere uomini in piedi in mezzo alle rovine non è più sufficiente, bisogna garantire uno spazio di vita ai nostri figli e ai nostri discendenti, e non è possibile farlo se non si comprende che non solo l’Italia non deve accogliere ulteriori invasori, ma deve rispedire via dal nostro suolo quelli che già ci sono.
Abbiamo bisogno per prima cosa di riscoprire il senso forte della nostra identità etnica. Tempo fa, commentando un mio articolo, un lettore di “Ereticamente” mi aveva rimproverato perché “Sangue e suolo”, espressione da me menzionata, è una formula della tradizione germanica, “Blut und Boden”, a suo dire poco consona alla tradizione latina dove la nazionalità è vista piuttosto in termini storico-culturali.
Allora rispondo che se germanizzarci è il prezzo da pagare per non diventare un pezzo d’Africa, è un prezzo che dovremmo essere ben lieti di pagare.
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