Nel celebre Manifesto del Futurismo (pubblicato su Le Figaro, Parigi, 20 febbraio 1909, da Filippo Tommaso Marinetti) si legge: ‘Noi vogliamo glorificare … le belle idee per cui si muore’. Cosa sono le idee e perché le si può definire, con atto discriminatorio (si sottintende, dunque, che ve ne sono alcune brutte e disdicevoli), belle? Non starò, qui, a scomodare Platone e il suo Iperuranio, il mondo delle Idee che si caratterizzano per essere e vere e giuste e belle. Aggettivi che andrebbero scritti a lettere maiuscole ad indicare l’assoluto del termine. Lasciamo il filosofo, ritratto da Raffaello al centro della scena, con la folta e lunga barba bianca, il cranio possente e lucido, il dito indice puntato verso il cielo, e lasciamo la grandiosa visione aristocratica là dove egli l’ha collocata, inaccessibile e sdegnosa. In fondo è lecito supporre che in lui albergasse nostalgia di antiche guerriere e nobili acropoli. Di certo Marinetti, nella sua foga iconoclasta, non aveva né tempo né voglia di scimmiottare il filosofo, sentendosi ad altro e di più urgente destinato.
Spezzare le catene di un mondo vecchio e stanco, male odorante e ormai traballante, erede emaciato del mito borghese che aveva compiuto la sua parabola. Compiere una rivoluzione, in primo luogo, e non solo nel mondo delle arti – cosa non da poco se si tiene a mente che egli fu a fianco di Benito Mussolini in quella memorabile data, 23 marzo del 1919, in piazza San Sepolcro, a Milano, a fondare i Fasci di Combattimento e si sperticava nella lode verso quei pittori russi che, durante gli esordi della rivoluzione bolscevica e negli anni della guerra civile, avevano pitturato i treni di Lenin con scene futuriste. A quelle rivoluzioni, ‘la poesia del XX secolo’, per usare una felice espressione di Robert Brasillach, rimase fedele (in ogni paese si compie la propria rivoluzione, precisava, aggiungendo che noi, qui, in Italia stiamo realizzando la nostra sull’onda del Fascismo) nonostante, ormai avanti con gli anni, partisse volontario per il fronte russo e ne tornasse con il cuore malato e prossimo alla morte.
(Riflessioni le mie che sono, simili a pietra tombale, l’inizio di quella dedica, epitaffio per gli imbecilli, a tutti coloro che – e ad uno in particolare – si gratificano del suono stonato della propria voce, parole e scritte e dette, tutte ‘importantissime!’, sottraendo alla propria esistenza il fondamento autentico della coerenza e della dignità e del cameratismo. Paghi di rotolarsi in atteggiamenti accattoni e gonfi d’invidia verso l’usura di cui fingono essere acerrimi nemici e senza rendersi conto che la miseria prima sta nel loro animo…).
‘Le belle idee per cui si muore…’, ma non sarebbe più giusto rovesciare l’assunto e, riportandosi alla carne e alle ossa e al sangue, affermare che ‘a cercar la bella morte’ conduce a rendere nobili le idee, lo ammetto, anche quelle che mi appaiono avverse e cupe? E, ancora una volta mi tornano a mente i franchi tiratori di Firenze, nella plastica descrizione di Curzio Malaparte ne La pelle. Giovani e giovanissimi, sgrammaticati, in camicia nera, che nulla sanno de La dottrina del Fascismo del pensiero di Giovanni Gentile (forse soltanto che pochi mesi prima l’hanno atteso sotto casa e ammazzato a colpi di rivoltella) del corporativismo e della guerra del sangue contro l’oro… Eppure sono loro, irridenti nel sacrificio, lesti con il moschetto dall’alto dei tetti ed ora lesti di lingua davanti all’improvvisato plotone d’esecuzione sugli scalini di Santa Maria Novella a gridare – ‘faccia al sole e in culo al mondo!’ – che non tutti gli italiani sono gli eredi di ’Franza e Spagna purchè se magna’, che non è il nostro il paese degli imboscati, che il Fascismo non si fa con le chiacchiere, i proclami, i gerarchi con il petto zeppo di medaglie, gli imperi di cartapesta, si fa con l’esempio estremo, che solo vive perché ‘immenso e rosso’ (immenso quale concezione atemporale nell’universale; rosso in quanto premessa e promessa della giustizia proletaria, di socialismo nazionale).
Tutte le idee, dunque, sono belle se sono vissute con intensità, se uomini e donne le rendono tali. E non è casuale che, in molte bandiere, vi sia il colore rosso (penso espressamente all’Italia e alla Germania) quale memoria dei martiri e degli eroi caduti per fecondare la propria terra e renderla libera grande unita. Così la bandiera dell’Unione Europea – mi faceva notare l’amico Rodolfo in più circostanze – è ‘brutta’ e non per il suo monocromatismo e quel cerchio di stelle modello giostra del luna park. E’ brutta perché non la si vede in piazza a sventolare, qualunque sia il motivo ispiratore, non possiede anima e nessuno per essa ha donato la sua vita, s’è per essa sacrificata. E, per essa e ciò che rappresenta, è disposto a mettersi in gioco. Di recente ho visto un breve video, postato sulle pagine di fb. Si vede come immigrati di colore si danno a devastare il centro della capitale norvegese, senza che vi sia un poliziotto, vi sia reazione alcuna. Anzi una giovane donna si lancia contro alcuni di loro che avevano tentato di aggredire forse il suo ragazzo, rimasto lì impalato. Inversione dei valori.
Doveroso, ad esempio, rammemorare la figura di Giuseppe Mazzini, ‘la tempesta del dubbio’ risolta in lui tramite la legge del dovere; suscitare la commozione verso quel Carlo Pisacane, si legga e si rilegga il suo testamento, che volle rappresentare comunque e nonostante tutto il valore purificatore del proprio sangue versato; onorare Nicola Bombacci, fedele all’amico Mussolini e a quell’idea del socialismo, capace d’essere realizzata non da Lenin ma dal Fascismo, risoluto tanto da accompagnarlo nell’ultimo viaggio ed essere con lui appeso a piazzale Loreto. La parola detta e quella scritta a glorificare ‘le belle idee per cui si muore’, ma se poi l’animo si spaura si rabbuia e si contorce e si avvilisce e si fa miserrimo… cosa sono quelle parole se non soffio di vento a disperdere le idee simili a foglie secche ingiallite accartocciate. Deve sussistere una linea di confine e questa linea è il rapporto idee uomini, valore delle prime aderenza dei secondi, in un alto e nobile connubio. Berto Ricci, ad esempio. Già ma non tutti lo sono. ‘Meglio v’era tacer, signor mio bello|’, verseggia e duella il mio amico Cyrano. Non sta a me dirlo. Solo un epitaffio, vano lo so, verso i parolai e i miserrimi e i miserabili, tutti parte del medesimo calderone dell’imbecillità… tutti, nessuno escluso. Perché se non siamo uomini a forgiare idee e per esse batterci, cosa resta se non la vanità?