“Chi ha rinunciato alla sua terra, ha rinunciato anche al suo Dio”
(Fedor Dostoevskij- L’idiota)
Capitolo III
Le altre teorie politiche.
Marxismi
La più vecchia delle tre teorie politiche “concorrenti” è il liberalismo, figlio del Settecento, dell’Illuminismo e delle rivoluzioni americana e francesi. Il comunismo nasce come reazione alle profonde ingiustizie della prima e seconda rivoluzione industriale, individuando nella nuova classe degli operai il soggetto storico collettivo in grado di rovesciare i rapporti di forza con la borghesia, identificati nei “rapporti di produzione “, attraverso l’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione, unica possibilità di interrompere il corto circuito di sofferenza ed ineguaglianza chiamato alienazione e smascherando le contraddizioni del sistema con il procedimento dialettico tratto dal sistema di Hegel, a partire dal feticismo delle merci, base del consumo indotto. Un’ideologia materialista ed apertamente atea, giacché vedeva nella religione l’oppio dei popoli ed uno strumento privilegiato di dominio. Seguendo Feuerbach, il marxismo considera Dio un’invenzione del pensiero ed accetta, più o meno consapevolmente, l’assunto secondo cui l’uomo è ciò che mangia.
Significativo è l’incipit dell’XI tesi marxiana su Feuerbach: “Finora i filosofi hanno cercato di comprendere il mondo, ora è il momento di cambiarlo”. Filosofia che si fa storia e, in larga misura, religione secolare per cui vivere e morire. Fu poi Carl Schmitt a capire che tutte le grandi costruzioni ideologiche non sono che religioni secolarizzate. I fascismi, enfatizzando il ruolo dello Stato, interprete e personificazione della Nazione (o, in Germania, della razza), hanno cercato di dare una risposta all’ingiustizia ed al materialismo pratico liberale senza cadere nel collettivismo, ma sono stati sconfitti sul campo di battaglia e non hanno risolto il problema della libertà. Per Dugin, che resta innanzitutto un russo, hanno perduto anche per non aver tenuto conto dell’anima profonda dei popoli slavi ed eurasiatici, considerati razze di second’ordine dal nazionalismo nordico.
Opporsi alla vittoria epocale del liberalismo
Il tramonto di queste due grandi narrazioni politiche lascia campo libero all’avversario liberale contro cui entrambe nacquero ed insorsero. Secondo la 4TP, la battaglia deve essere condotta attraverso direttrici diverse. Una prima ipotesi punta su una specie di combinazione dei soggetti simbolici, classe (meglio gruppo sociale) Stato, etnia (non razza), nazione e, naturalmente, individuo. Una seconda possibilità si potrebbe definire fenomenologica nel senso dell’insegnamento di Edmund Husserl ((Edmund Husserl (1859-1938) Filosofo tedesco. Fondatore della Fenomenologia. “Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica”.)), o della “lunga durata” teorizzata da Fernand Braudel. La Longue durée è una struttura sociale che resiste nel tempo alle sollecitazioni della storia, mediante una sorta di tenace resilienza, ossia la capacità elastica di assorbire i colpi. In questo senso, la 4TP propone la desecolarizzazione della società, in una rinnovata alleanza tra religione e politica (è il modello imperiale dell’ortodossia madre della Santa Russia) ed una forma di decisionismo politico vicino alle idee del realismo politico europeo ed alla prassi russa, incarnata oggi dalla “democrazia sovrana” di Vladimir Putin.
Nessuna delle due ipotesi sembra tuttavia soddisfacente, e così Dugin ha pensato ad una originale teoria dell’immaginazione. L’immaginazione è la facoltà che, unita alla parola, al logos, fa dell’uomo un essere unico. L’immaginazione serve per ideare, progettare, istituire forme nuove, formare il contenuto dell’esistenza. Unita al realismo di chi sa non solo vedere i fatti, ma coglierne l’essenza, l’immaginazione acquista un’importanza politica che va oltre lo slogan del Sessantotto, l’immaginazione al potere.
Ciò che lega le ipotesi menzionate, ed insieme le supera in una sintesi che aspira ad essere organica (la somma maggiore dei singoli elementi) resta l’intuizione del Dasein, l’Esserci, l’uomo concreto, che si riconosce persona, individuo, membro di una nazione, appartenente ad un’etnia, componente di una comunità, seguace di una tradizione spirituale, elemento di una civiltà nata prima di lui e che gli sopravvivrà.
I processi monotòni
Sulla base delle elaborazioni esaminate nel paragrafo precedente, la 4TP non poteva che essere profondamente critica nei confronti di quella particolare forma mentis occidentale che definiamo ideologia del progresso. I grandi della sociologia novecentesca, da Durkheim a Pitirim Sorokin sostengono che il progresso sociale non esiste, non è che una costruzione artificiale, un mito formulato secondo i dettami del tempo, con linguaggio e termini scientifici. Verità acclarata dagli antropologi per le civiltà, potremmo citare l’analisi del dono in Marcel Mauss((Marcel Mauss (1872-1950) antropologo francese. Autore del “Saggio sul dono”. Nel suo nome è sorto Il MAUSS Movimento Anti Utilitarista di Studi Sociali.)) e la scoperta della sua eccedenza rispetto a ciò che si conservava.
Con l’ecletticismo culturale frutto di un’erudizione sbalorditiva, Alexsandr Dugin muove dagli studi di Gregory Bateson ((Gregory Bateson (1904-1990) epistemologo e psichiatra americano. Tra i fondatori del gruppo interdisciplinare di Palo Alto.)), antropologo, sociologo ed epistemologo tra i maggiori del XX secolo. La critica di Bateson si concentrò sui cosiddetti “processi monotònici”, quelli cioè che procedono in una sola direzione. Gli alberi non crescono indefinitamente, gli animali e gli uomini neppure. Tale è l’assunto di base dell’ecologia, della decrescita, della bioeconomia di Nicholas Georgescu Roegen ((Nicholas Georgescu Roegen (1906-1994) Economista romeno. Fondatore della bioeconomia.)).
I processi monotòni, scopre Bateson, non esistono né in biologia, né nel funzionamento delle macchine (importantissimo fu il suo contributo alla nascente cibernetica) e, tanto meno possono funzionare nelle società umane. Un colpo durissimo all’idea di crescita indefinita, di determinismo, progresso lineare, del “dopo” e del “nuovo” sempre superiori, migliori, di prima e vecchio. “Processi monòtonici, come l’incremento della popolazione, in molti casi conducono alla guerra, la quale torna a ridurre la popolazione stessa”, scrive Dugin, e soggiunge che “nella società attuale vediamo livelli di progresso tecnologico senza precedenti, insieme ad un incredibile degrado morale”. L’attenzione del Nostro per la dimensione etica lo rende, eo ipso, incompatibile con modernità, postmodernità e liberismo, che fanno della neutralità (o dell’indifferenza) morale il proprio elemento naturale. L’ex primo ministro svedese Bildt ha affermato in un pubblico dibattito che “la religione ortodossa è nemica dei valori occidentali”. Dato il pulpito da cui proviene il monito, un motivo in più per allargare ad est gli orizzonti culturali.
Il Progresso
L’idea di progresso infinito ed indefinito, senza scopo e direzione che non se stesso, è la cifra più evidente dell’ideologia contemporanea, sconosciuta alle tradizioni di quasi tutte le popolazioni, come hanno ampiamente dimostrato gli antropologi. Non si dà, dunque, processo monotòno cui non corrisponda all’incremento di un campo, il decremento di un altro. Tale constatazione risulta vera tanto nelle scienze naturali, quanto nell’ambito delle tecnologie ed in quello delle società. Del resto, lo avevano dimostrato già il secondo principio della termodinamica e l’idea di entropia, nell’ indifferenza di sociologi, economisti, scienziati della politica, e nonostante la messa in guardia da parte della teoria della complessità di Edgar Morin e le acquisizioni di Ilya Prigogine sulle “strutture dissipative”.
L’idea di evoluzione va espunta decisamente dall’orizzonte filosofico, quanto da quello scientifico, ove è iniziata una lenta ritirata del darwinismo. La parola “civiltà” ha avuto una circolazione ed un peso notevoli, nell’elaborazione dell’ideologia del progresso. All’opposto, essa è stata considerata lo stadio terminale della cultura, al tempo del confronto Kultur-Zivilisation” ((Kultur Zivilisation ted. Cultura e Civiltà. Coppia oppositiva presente nella filosofia ed epistemologia tedesca per designarne le diversità.)), e non è altro che un ulteriore processo monotòno, al quale va contrapposta la naturale ciclicità della natura e della vita. Il paradigma del progresso, vorremmo dire il fideismo superstizioso che lo circonda va quindi respinto a favore della ciclicità, così come deve essere rifiutato l’assioma della irreversibilità del tempo storico.
La 4TP, ovviamente, non intende propugnare la vita di una passata, inesistente Arcadia, ovvero respingere gli strumenti tecnici e scientifici che l’uomo ha inventato. Il punto, e l’obiettivo, è ricondurli all’originaria funzione strumentale, tenendo presente che è proprio il nostro “esserci” a impegnare l’uomo a immaginare, scoprire, realizzare. In fondo, la più incisiva sentenza resta quella del vangelo di Marco: il sabato è per l’uomo, non l’uomo per il sabato.
Chiudere con la modernità, improntare la postmodernità
La 4TP non è una semplice, per quanto strutturata, teoria politica, ma ambisce ad essere una visione della vita, una “weltanschauung” ((Weltanschauung –ted. Visione generale del mondo. Concetto della filosofia tedesca.)), una chiave interpretativa e gnoseologica. Condivide alcune caratteristiche del conservatorismo, ad eccezione di quello, ormai del tutto residuale, di ascendenza liberale, ma incorpora istanze e convincimenti dell’eurasiatismo “di sinistra” (nazionalbolscevismo), nonché di svariate declinazioni “sociali” dell’universo antiliberale. In proposito, resta insuperata un pensiero di Nikolaj Berdjaev ((Nikolaj Berdajev (1874-1948) Filosofo russo esistenzialista religioso. “Nuovo Medioevo”.“Filosofia dell’ineguaglianza”. )), fatto proprio da Vladimir Putin: “Il senso del conservatorismo non è ostacolare il movimento in alto o in avanti, ma nell’ostacolare il moto all’indietro e verso il basso, il buio caotico, il ritorno allo stato barbarico.” Un’altra folgorante definizione ci viene dalla Rivoluzione Conservatrice, “Il conservatorismo ha dalla sua parte l’eternità”, (Arthur Moeller Van Den Bruck).
Se modernità ha significato una corsa impetuosa senza una vera direzione e priva di un centro di gravità, va condivisa la tesi che considera il moto accelerato, monotòno nel senso indicato da Bateson, che siamo abituati a chiamare progresso, come un fenomeno dalle troppe ombre, specifico dell’Occidente. L’idea di modernità non ha validità universale, giacché ogni nazione vive i processi storici a suo modo in differenti ritmi e allo stesso tempo in differenti direzioni.
La pretesa occidentale di incarnare il Progresso, il Vero, la Libertà, i Diritti Umani e la Democrazia sono un etnocentrismo mascherato da universalismo. L’adozione dei valori di questa parte del mondo presso tutti i popoli resta un’imposizione, una forma di colonialismo, di razzismo antropologico di cui è protagonista soprattutto lo spirito americano. Questa modernità va dunque rigettata in quanto si oppone alla pluralità, al benefico dispiegarsi delle differenze, alla sopravvivenza stessa delle civiltà, ognuna delle quali ha un suo particolare centro simbolico.
La postmodernità ha iniziato il suo cammino con la critica, la “decostruzione” (Jacques Derrida) ((Jacques Derrida (1930-2004) Filosofo francese. Sua è l’idea di “decostruzione” come metodo di analisi.)) delle certezze della modernità, ma non ha svoltato, né portato a compimento un processo di rielaborazione, di ricomposizione dei pezzi smontati. Questo è il compito di una nuova teoria, che nel frammezzo, negli interstizi di una decadenza rovinosa sappia rivedere prima, ricostruire poi ad una ad una le pietre della cattedrale crollata.
Capitolo IV
Multipolarismo contro unipolarismo
Gli Stati-civiltà
La 4TP contrasta energicamente l’unipolarismo americano-occidentale, cui oppone un multipolarismo basato sulla persistenza di civiltà legate ai “grandi spazi”. Dugin ne identifica otto, diversamente dalle nove individuate dal Samuel Huntington dello Scontro delle Civiltà, ma, non vuole lo scontro, le cui ragioni stanno nella pretesa universale dell’Occidente, fine e culmine della storia (Fukuyama) ((Francis Fukuyama (1952-) politigo statunitense. Autore del saggio “La fine della storia”.)), deciso ad imporre se stesso al mondo in ossequio alla teoria americana del “destino manifesto” di cui sarebbero portatori gli uomini insediatisi nello spazio nordamericano da ogni angolo del mondo, sradicati che estirpano come termiti le radici altrui.
Le otto grandi aree di civilizzazione prospettate da Dugin contengono al proprio interno un numero potenzialmente infinito di sottoculture e di civiltà periferiche e minoritarie. Ciascuna è degna di vivere secondo i propri valori, senza imposizioni, violenze o colonialismi. Non esiste, in principio, una civiltà – “noi”, asseriscono gli americani – ed una barbarie da cancellare sovrapponendovi i paradigmi nostri. Resta insuperata la lezione di Simone Weil ((Simone Weil (1909-1941) Filosofa francese “L’enracinement” (La prima radice).)), la grande intellettuale ebrea francese nel fondamentale La prima radice: “Il radicamento è forse il bisogno più misconosciuto e più importante dell’anima umano”. In un altro brano la Weil scrive qualcosa che può essere accolto nel Pantheon di una nuova teoria politica: “Un determinato ambiente deve essere influenzato dall’esterno, non per essere arricchito, ma per essere stimolato a rendere più intensa la propria vita. Deve nutrirsi degli apporti esterni soltanto dopo averli assorbiti”. Una grande lezione di libertà e di pluralità.
Le grandi aree sono talora grandissimi Stati che la 4TP chiama “stati-civiltà” non solo per le loro dimensioni, ma in quanto corrispondono a principi spirituali e sociali antichi ed originali, ad esempio l’India e la Cina. Altri rappresentano associazioni di tipo storico culturale o religioso, come i paesi arabo mussulmani e quelli islamici dell’Asia continentale, o la stessa, incompiuta, perplessa Unione Europea.
Non si può prescindere dal grande spazio, ma ne vanno ridefiniti i contorni e le relazioni. Nello “spazio sviluppo” i fattori di somiglianza sono la religione comune, l’etnia, la forma culturale, la vicinanza geografica, l’affinità sociale, il modello politico. Il modello dello Stato nazionale viene messo in discussione non tanto perché obsoleto, ma in quanto i grandi spazi sono un fatto. L’esempio dell’Unione Europea diventa una sorta di paradigma negativo: i popoli che la compongono hanno certamente una comune civiltà, che tuttavia respingono (le radici cristiane, l’idea imperiale, il senso della libertà personale e civica, l’esistenza di leggi naturali iscritte nell’animo umano).
Si sono uniti in un mercato, condividono un’unica moneta, negando evidenti divari economici, ma rifiutano di avere un governo comune, una struttura confederale. Enfatizzano il principio democratico un uomo un voto, ma il metodo resta quello delle oligarchie; sono gelosi della propria sovranità, ma l’hanno ceduta ad organismi non elettivi, e gran parte delle leggi che osservano sono emanate da soggetti estranei, la stessa moneta unica è emessa e controllata da una banca privata cui è stato imposto l’abusivo nome di Banca Centrale Europea.
La stessa identità europea, invero, è geopoliticamente divisa in due parti concorrenti e probabilmente non componibili. C’è un’identità atlantica, rappresentata dalla Gran Bretagna, che guarda agli Stati Uniti e si identifica con la spuria nozione di Occidente. Esiste un secondo spazio intraeuropeo continentale, carolingio, franco tedesco, il cui ruolo dovrebbe essere quello di costruire un futuro di indipendenza, culturale, economica e politica dagli interessi di quell’Occidente dalle troppe pretese.
Quanto ai popoli slavi, sono divisi tra loro dalla storia, dalla geografia, dalle tradizioni religiose; alcuni di essi, quelli che appartennero all’impero austriaco, sono parte integrante del blocco europeo continentale, altri gravitano attorno al grande spazio russo, eurasiatico.
Il liberalismo come unicum
Qualche osservatore potrà ritenere che la critica al liberalismo della 4TP non presenti elementi di originalità o novità. Ciò è in parte vero, ma solo se si trascura un tratto costitutivo di quest’idea, ossia la volontà e la capacità di accogliere in sé idee o principi diversi, purché convergenti nella ricostruzione di una Tradizione. L’idea liberale è del tutto incompatibile con le identità di popoli e culture, promuove l’uscita dell’individuo-monade da ogni cornice comunitaria, lo omologa sino all’idolatria dell’identico, lo libera da ogni dovere o appartenenza per relegarlo a consumatore e produttore, gli conferisce una miriade di diritti individuali che da un lato lo separano dagli altri esseri umani, dall’altro ne fanno un forzato dei desideri e dei capricci che potrà soddisfare solo attraverso il denaro.
Se posizioni di questa natura sono condivise da altre visioni ideali, questo significa che sono fondate e colgono nel segno. La forza del liberalismo è stata sinora quella di fare appello all’individuo, incoraggiandolo a credere esclusivamente nella sua autonoma particolarità. Questo può essere tuttavia visto anche come il punto debole dell’idea, l’aporia di fondo del sistema concettuale. Dugin scrive provocatoriamente “Proponiamo la tesi che ogni identità umana è accettabile e giustificata, tranne quella dell’individuo. L’uomo è tutto, tranne che un individuo” ((Alexsandr Dugin (1962-) The fourth politically theory.)).
Aggiunge, e ne è testimone quotidiano chiunque si scontri con il pensiero dominante anche ai più infimi livelli, che dinanzi a tale affermazione il liberale dismetterà istantaneamente tutta la sua asserita tolleranza, ed i Diritti umani di cui va così fiero saranno accordati a tutti, tranne che a chi osi pronunciare una frase del genere. L’individuo non esiste in quanto, in realtà, è un “dividuo” ((Termine introdotto nel libro “Neuroschiavi” M.Della Luna-M. Cioni.)), lacerato, schizoide, sbattuto da una parte all’altra dalle onde della vita, dai problemi, dai bisogni indotti, dall’incomprensione dell’esistenza del male, dalla solitudine che si è cercata. Per questo l’idea di individuo deve essere abbattuta dal piedistallo in cui l’ha collocato per interesse il liberalismo che sembra di marmo ma è argilla.
Il punto è che noi oggi chiamiamo liberalismo una teoria che non è più tale, giacché, paradossalmente, ma non troppo, si è liberata dalla sua componente politica ed etica per diventare quasi esclusivamente la giustificazione teorica di un’idea economica, il liberismo della privatizzazione di tutto e della depoliticizzazione, dominato dalla componente finanziaria e dalla globalizzazione, interessata ad abolire confini materiali, limiti morali, compagini statali, tradizioni religiose al fine di dilatare il potere del mercato. In cambio, il liberismo offre una particolare sub ideologia, quella dei diritti umani e civili, che sopprimono progressivamente i diritti sociali e quelli comunitari e determinano società “libertarie”, ovvero soggettiviste, ultra individualiste, prive di vincoli e di etica comune e “libertine” per quel moto verso il basso che Berdjaev avvertiva come il pericolo più drammatico della modernità e, sul piano strettamente economico, veniva considerato come esito inevitabile dallo stesso Keynes ((John Maynard Keynes (1883-1946) Economista inglese, forse il massimo del Novecento. “Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta”.)), che parlava di “spiriti animali” del liberalcapitalismo, da imbrigliare da parte degli Stati e delle nazioni.
Un mondo di reti
La 4TP dovrà approfondire alcuni temi collaterali al liberalismo odierno, ad esempio la distribuzione assolutamente ingiusta dell’accesso alla conoscenza, la circostanza che una società delle reti necessita di una serie di controlli e di governo che non può essere lasciata al mercato (cioè ai giganti privati), ma richiede la presenza attiva di autorità pubbliche legate ai popoli, una profonda ridefinizione dei concetti di scienza e di tecnologia, alle quali devono essere sovraordinate l’etica, il principio di prudenza, il bene comune. Un esperto geopolitico americano, Thomas Barnett, a proposito di reti, sostiene con accenti diversi, le medesime idee di Alain De Benoist: c’è un nucleo forte di connessione, tecnologica, informatica, culturale, dove tutto avviene, ed ampie zone non connesse, o non ancora connesse, che corrispondono, guarda caso, alle nazioni e culture che si oppongono agli Usa. Centro e periferia, solo che egli, a nome dell’Impero americano, afferma la tecnologia come destino, riconoscendo indirettamente di chi sia, e con quali mezzi si dispieghi il dominio globale. L’Esserci significa anche essere consapevoli di costituire il “resto del mondo”, restare attivi, vigili, decisori, ma prima di tutto soggetti morali capaci di distinguere il Bene dal Male.
Libertà
Anche dal liberalismo occorre saper mutuare un valore positivo, ed è l’idea di libertà. La 4TP vuol essere una teoria di assoluta esaltazione delle libertà; libertà senza aggettivi e senza preposizioni (“di”, “da”), rivolta verso qualsiasi obiettivo e direzione. L’enorme differenza con le libertà liberali è che non è mai individuale, ma è libertà della persona, dell’esserci. Si tratta delle libertà che derivano dall’identità, dalla sovranità, dalla cultura, dall’etnocentrismo, dalla cultura e dalla stessa soggettività, eccetto quella dell’individuo sconnesso dal mondo. Un pessimo maestro del XX secolo, Jean Paul Sartre ((Jean Paul Sartre (105-1980) Filosofo francese. Esistenzialista, ateo e marxista “La nausea”. “L’essere e il nulla”.)), ha condotto il pensiero europeo ad una sconsolante conclusione: L’uomo, come individuo, è una prigione senza mura. Quale triste esito per il superbo individuo libero e liberato, definire se stesso un carcere!
La libertà è sempre imbevuta di caos, e, posta nell’angusta cornice individuale, resta fittizia e minima. Il rovescio della medaglia è la spinta ad essere “come tutti gli altri”, a detestare le grandi avventure rischiose, a tollerare (il verbo che più definisce il gretto orizzonte individualista) solo creature piccole, minimaliste. Il risultato è la risibile libertà di scegliere i canali televisivi preferiti e quella di acquistare a credito i prodotti delle marche alla moda. Una precisa riproduzione di Homunculus, la creatura artificiale dell’alchimia di Paracelso e del secondo Faust di Goethe ((Faust di Wolfgang Goethe. Poema in versi due libri, considerato il vertice della letteratura tedesca.)). Il libero arbitrio cristiano consiste nella possibilità offerta a tutti gli uomini di volgersi al bene senza costrizione. Forse serve la libertà di dire no alla libertà.
Dugin fa un esempio assai serio, nonostante l’apparente leggerezza del tema. Il mondo odierno ci mette alle strette con una domanda la cui risposta è ovvia: volete fare a meno della lavatrice? Pare che l’argomento vincente sia la lavatrice; tutti, naturalmente, la vogliono, insieme con tanti altri oggetti. Eppure, la vita è possibile, lo è stata per millenni, senza lavatrice, e neppure Leonardo da Vinci ne ha progettata una. L’argomento liberale è terribile, nella sua consequenzialità, quasi un sillogismo: la vita è peggiore senza lavatrice, dunque la vita è una lavatrice. Sta tutta lì la seduzione dell’argomento liberale, ma non si può non scorgervi il piglio totalitario.
Roberto Pecchioli (2 — continua)
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