Il ricatto è l’estorsione con minacce e coazione fisica o morale che mette nella condizione di non poter opporre un rifiuto a quanto viene chiesto. L’estorsione è un delitto punito dall’articolo 629 del codice penale se il ricattatore ha usato violenza nei confronti del ricattato, ovvero lo ha minacciato, prospettandogli un male ingiusto e notevole. La vittima è costretta, contro la propria volontà, a fare o a non fare qualcosa; il risultato è l’ingiusto vantaggio dell’estorsore a fronte dell’ingiusto danno patito dall’altro.
Il comportamento del governo in tema di vaccinazioni e possesso del salvacondotto detto green pass e le sempre più pressanti, insostenibili vessazioni a carico di chi non possa esibire il cartiglio, forse non costituisce reato, giacché nel nostro sistema giuridico l’estorsione è un delitto contro il patrimonio e non contro la persona umana. Se ci fosse un giudice a Berlino potremmo opporre il Codice di Norimberga che impone il consenso informato del paziente per le terapie sperimentali.
Tale è infatti, con evidenza, il cosiddetto vaccino anti Covid. Le considerazioni svolte restano tuttavia chiacchiere da bar o oziosi cavilli per pedanti, davanti alla cruda realtà: siamo indifesi, come singoli e come popolo, di fronte a un gigantesco ricatto a cui la stragrande maggioranza deve piegarsi se vuole continuare a vivere con un barlume di tranquillità. L’estorsione è il tipico atto delle associazioni mafiose e le azioni dei governi sono uscite da tempo dallo Stato di diritto. La pandemia – la sua gestione e sfruttamento a scopi di potere e modifica generale delle condizioni di vita dei popoli – ha fatto saltare in un sol colpo tutte le certezze giuridiche, politiche e comportamentali che consideravamo acquisite.
E’ sovrano chi decide nello stato d’eccezione, sosteneva Carl Schmitt. Siamo oltre: il sovrano (il blocco di potere costituito da governi, oligarchie economiche, finanziarie, sanitarie, tecnologiche, vertici della comunicazione, esperti scientifici) ha deciso preventivamente la sussistenza dello stato d’eccezione e agisce di conseguenza. Di passaggio, consegue gli obiettivi indicati dai documenti delle élite occidentali: distrugge la piccola e media impresa, digitalizza l’esistenza, realizza la “biocrazia” – il potere sulla vita – concentra denaro, produzione materiale e intellettuale, mezzi di sussistenza – in poche mani, restituendo agli Stati, nella forma di polizia di servizio, braccio secolare del Dominio – la sovranità perduta, esercitata direttamente contro le popolazioni. Un regime neofeudale in cui i governi sono i mercenari della governance globale.
In questo senso, dobbiamo enunciare alcune verità difficili da accettare per popolazioni addomesticate. Diceva Mark Twain che è più facile ingannare che convincere dell’inganno. L’uomo non vuol credere a ciò che contrasta le sue credenze. Il governo è nemico del popolo e di ciascuno dei suoi componenti, tranne di coloro che lega a sé per motivi pratici: intellettuali e giornalisti di sistema, apparati di controllo e repressione, amministratori e grandi azionisti delle corporazioni economiche e finanziarie il cui nome collettivo è “mercato”. Siamo indifesi, a meno che non decidiamo di esercitare il diritto naturale di resistenza contro l’oppressione. Molto difficile, per popoli estenuati, con mille dipendenze, viziati, resi ciechi dalle paure, infiacchiti, assordati dal baccano del potere.
In Bolivia è stata precipitosamente ritirata la norma che imponeva di dimostrare l’avvenuta vaccinazione o il tampone negativo a seguito delle durissime proteste scoppiate nelle principali città. Il governo – con buon senso sconosciuto al Draghistan – ha affermato di non voler esercitare “inutili misure di violenza” contro i dimostranti. I boliviani, poveri e poco istruiti, sono ancora un popolo vivo e, quando si muovono, fanno paura al potere. Le cariche poliziesche di Trieste e di altre città mostrano quanto bassa sia la considerazione delle classi dirigenti verso i cittadini, quando si tratta di agire nell’interesse del potere reale, che non sta a Palazzo Chigi (se non in quanto l’attuale inquilino è un grand commis installato dal sistema) e tanto meno a Montecitorio, sede della sovranità perduta.
Il governo boliviano ha dichiarato di ritirare le misure di controllo poiché le dimostrazioni alimentano “nuovi focolai di contagio”, ammettendo che il vaccino tale non è, ossia non immunizza. Se infatti le iniezioni avessero successo saremmo al riparo da Delta, Omicron e da ogni virus battezzato con l’alfabeto greco; non dovremmo mantenere il distanziamento, nascondere naso e bocca, rinunciare a gran parte della vita, ed avremmo risolto il problema dei renitenti all’iniezione. Se il vaccino è tale, non ci possono essere “untori”, i malvagi no vax, capri espiatori del nuovo giacobinismo. Il vaccinato (tre, quattro, enne volte) è al riparo e può abbracciare, baciare, stringere la mano e persino schiaffeggiare senza paura il non vaccinato.
Se invece parliamo di una terapia sperimentale, per di più genica, di cui ignoriamo le conseguenze a lungo termine, l’iniezione per la quale abbiamo sottoscritto la manleva di responsabilità per medici, governanti e produttori diventa un atto per il quale abbiamo subito un ricatto, un crimine non perseguito. La conseguenza – per chi conserva il raziocinio – è che lo strumento, il certificato verde, da esibire a chiunque in tutti gli atti della vita quotidiana, è lo scopo. In parole povere, l’epidemia è un formidabile strumento di cui il potere si serve per cambiare il regime politico sociale e le sue regole in senso restrittivo, autoritario e probabilmente totalitario, e per imporre un nuovo paradigma antropologico fondato sulla sorveglianza, la digitalizzazione integrale della vita e la divisione delle popolazioni, alimentando odio, sospetto, timore reciproco.
Stanno creando l’animale asociale nemico del suo prossimo, cane da guardia del potere attraverso la delazione, la messa all’indice dei dissidenti, la pretesa di rinchiudere, ostracizzare i possibili portatori di pericoli virali – i “sani immaginari” – con l’applauso verso chi non li cura e li esclude dalla vita professionale, dai diritti naturali e da quelli costituzionali. Il green pass fa entrare nel regno del controllo generalizzato, il Panopticon dell’utilitarista liberale Bentham, il dispositivo di biopotere descritto dal marxista eretico Michel Foucault.
Un periodo della Rivoluzione francese – ovvero dell’Illuminismo realizzato – fu il cosiddetto Terrore. Robespierre inventò il certificat de civisme di cui ogni cittadino (il citoyen figlio della nation che aveva da poco tagliato la testa al Re) poteva pretendere l’esibizione e richiedere l’arresto di chi non lo esibisse. Progressivamente, il certificato divenne indispensabile per l’acquisto del pane e dei prodotti razionati dallo Stato. Chi non lo possedeva era privo di diritti, l’esito perseguito dalla “legge dei sospetti” del 1793. Vi ricorda qualcosa? Il colpo di Stato di Termidoro mise fine al Terrore e Robespierre mise la testa sotto la ghigliottina che aveva installato per i nemici della Rivoluzione (cioè della nazione e della Repubblica). Il popolo non era ancora morto e i comitati tecnico-scientifici non erano i sostituti della polis.
Per parafrasare Marshall Mc Luhan, il mezzo è il messaggio. Il sociologo canadese si riferiva alla capacità della comunicazione di produrre effetti sulla società indirizzando il comportamento dei singoli e della massa. Il mezzo tecnologico determina i caratteri della comunicazione, pervadendo l’immaginario collettivo indipendentemente dal contenuto dell’informazione veicolata. Nel caso del green pass, mezzo e messaggio coincidono in quanto lo strumento permette il controllo e la tracciatura personale rispetto a una condizione – l’essere vaccinati– dalla quale dipende l’accesso a luoghi specifici e l’esercizio di ciò che prima era un diritto. L’iniezione, a sua volta, è il mezzo che veicola il messaggio del pericolo. La puntura libera dalla paura, accetteremo, invocheremo altri interventi che tracciano, digitalizzano il corpo. Arriverà il chip sanitario, altri apparati forniranno servizi, comodità, sicurezza in cambio della disponibilità dell’intera vita, della privatezza, di ogni gesto e atto, visibile da remoto da un potere che considereremo benevolo. Solo pochi spiriti ribelli – da isolare e punire – percepiranno la privazione della libertà e del libero arbitrio, beni screditati, limitati alla sfera pulsionale soggettiva.
Pure, la reazione, in forme diseguali, rizomatiche, confuse, cresce, dimostrando che il nemico non ha ancora vinto la guerra. Si osserva una difficoltà profonda a disegnare una linea comune, un progetto che non sia l’opposizione immediata, necessaria ma non sufficiente per costruire un movimento sociale antagonista. Del pari, c’è la tendenza a identificare nella costituzione formalmente vigente l’unico scudo contro i soprusi. Premesso che la scelta ha un senso tattico, giacché implica il giudizio di illegalità della presente condizione, la sostanza è che ciò che accade è integralmente ingiusto e immorale. E’ nostra convinzione che non si può animare un fronte sotto la bandiera di una legge, ma in base a un sistema di principi.
La costituzione è una norma frutto del suo tempo e del compromesso tra ideologie tramontate. Oltre ad essere largamente incompiuta, non è servita ad evitare il saccheggio dei diritti e degli interessi del nostro popolo. In termini di sovranità popolare, indipendenza nazionale, diritti sociali, principi etici e funzionamento concreto delle istituzioni, è sconfitta ogni giorno, a partire dalla subordinazione al diritto dell’Unione Europea, al ruolo assunto dalla presidenza della repubblica, alla prevalenza del potere esecutivo e dell’ordine giudiziario sul parlamento, espressione teorica della sovranità. Non si può contrastare la deriva che sta tagliando i principi della nostra libertà con gli strumenti giuridici del medesimo ordine, se non in termini meramente difensivi.
Nello Stato costituzionale prodotto dal razionalismo liberale e socialista al primo posto vi è il diritto astratto, non la sovranità. Il positivismo giuridico non giudica se una norma è “giusta”, ma se è stata emanata secondo procedura e conformità alla – delegando a ciò un organo – Corte Costituzionale, espressione degli equilibri del potere giudiziario, delle preferenze del presidente della repubblica e solo per un terzo della sovranità popolare solennemente enunciata all’articolo 1, con la forte limitazione del suo esercizio “nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
Non ci stupiremmo se, dopo le ulteriori, asfissianti restrizioni alla libertà quotidiana imposte attraverso il green pass, l’obbligo di vaccinazione venisse introdotto come “adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica economica e sociale” imposti dall’articolo 2 della costituzione. Sarebbe, almeno, un gesto di chiarezza. La resistenza ai continui abusi del potere non può avere come unica bandiera il dettato costituzionale. Sono i più forti, decidono loro ciò che è legale e ciò che non lo è, hanno alle dipendenze intellettuali e specialisti. Il terreno della lotta va spostato sul terreno etico dei diritti naturali, della libertà e della dignità umana. “Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?” si domanda Dante.
Indifesi, possiamo contare solo su noi stessi, prendendo atto che il sistema in cui viviamo va combattuto e superato indipendentemente dall’accelerazione totalitaria del Covid. Per questo siamo convinti dell’insufficienza strategica della costituzione ai fini di una resistenza al potere. Il mezzo è il messaggio: tornare alla condizione pre epidemia è un sollievo indispensabile alla vita, all’economia e ormai anche alla sanità mentale: non è “normalità”. Ogni marcia, tuttavia, comincia con un piccolo passo: restiamo a fianco di chi combatte – da qualunque orientamento politico e culturale – a favore della libertà. Ci permettiamo di ricordare, con Hannah Arendt, che chi si accontenta del male minore, sceglie comunque il male.