Venezia, più che una città, è considerata un mito, una leggenda, una fiabesca realtà sospesa sulle acque e avvolta dalle nebbie. Con Parigi, si contende il primato di città più visitata al mondo, e le sue imitazioni sparse per il globo, la rendono ancora più inimitabile ed unica. Ogni volta che ho visitato Venezia, e per un certo periodo vi ho anche soggiornato a lungo, ho sempre scoperto qualcosa di diverso, di mutevole, cercando di volgere lo sguardo oltre il velo di struggente malinconia e delle cangianti sfumature di colore della laguna. Non l’ho mai trovata veramente “triste”, così come descritta in qualche romanzo o in qualche canzone, neanche quando passeggiavo nelle sere di fine autunno, perdendomi nel labirinto di itinerari percorsi più volte, noti ed ignoti allo stesso tempo, anzi in quelle sere l’incanto delle maree fluttuanti mi appariva ancora più intenso.
Le origini di Venezia sono ancora avvolte dal mistero, a causa delle scarse fonti di cui disponiamo, per cui è ragionevole affidarsi ad una ricostruzione che può essere collocata a metà strada tra la realtà e la leggenda. Un fatto ormai ampiamente accertato è che Venezia si può considerare città bizantina e tale rimase per molto tempo. Nell’opera di Costantino VII Porfirogenito (1), è riportata una significativa leggenda, secondo cui Venezia sarebbe sorta “in un luogo deserto, disabitato e paludoso”, quando il re degli Unni, Attila (2), portò flagelli di distruzione in Italia, devastando la terraferma e l’importante città di Aquileia. A seguito di tale evento, un gruppo di profughi, per sfuggire ai saccheggi dei barbari, avrebbero occupato alcune isole della laguna veneta. Molto probabilmente, si tratta di un racconto mitico, elaborato per accrescere il prestigio della città, evocando un evento drammatico come quello dell’invasione unna. In realtà vi sono documenti che attestano una presenza romana in quelle isole, come una lettera di Flavio Aurelio Cassiodoro (3) del 537 d.C., senatore romano, ministro del re degli Ostrogoti, che fa riferimento ai “Tribuni marittimi delle Venezie”, a proposito della rotta commerciale tra l’Istria e Ravenna. A questo punto occorre una precisazione, la regione denominata “Venetia”, come attesta il longobardo Paolo Diacono (4) nell’VIII secolo, comprendeva il territorio che dai confini della Pannonia si estendeva fino al fiume Adda. E in più, lo stesso autore, riprendendo gli scritti di Livio, fornisce anche una spiegazione del nome “Venetii”, che sarebbe la latinizzazione del greco “Euetoi” (degni di lode), collocandoli originariamente nella Paflagonia (5), nell’Asia Minore. Il famoso Tito Livio si sarebbe addirittura basato su Omero, che avrebbe raccontato di un gruppo di profughi, guidati da Antenore (6), dopo la guerra di Troia, stabilitosi tra il XIII e il XII sec. a.C. nel grande golfo che da Venezia a Trieste si affaccia sul mare Adriatico. E’ emblematico come nel racconto mitico, le origini lontane di Venezia siano legate a quelle di Roma. Anche Enea, che si sarebbe stabilito nel Lazio, dando origine alla stirpe dei fondatori della città eterna, proveniva da Troia, e, come Antenore, fu risparmiato e rispettato dai vincitori greci, perchè fautore, fin dall’inizio, della pace e della restituzione di Elena.
Antichi documenti attestano che le prime abitazioni di Venezia poggiavano su una base costituita da pali piantati nel fango, nonché di rami e canne intrecciate. Secondo il Chronicon Altinate (7), la nascita di Venezia avrebbe una data precisa, il 25/3/421, quando i primi insediamenti furono edificati nella zona di Rivalto, l’odierna Rialto, trattandosi delle uniche isole che allora emergevano nella laguna. La leggenda di Venezia si tinge di un altro elemento, che contribuisce a donare ancora più fascino, se possibile, alla città. Si tratta del resoconto del già citato Cassiodoro, che scrive attorno al VI secolo, durante il governo di Teodorico, con una frase poetica piena di “charme”: “Al pari di uccelli marini negli specchi acquei, avete unito terre frastagliate e contro la sabbia delle onde avete eretto argini”.
Ma Venezia non è solo una delle mete più ambita dai turisti, per l’assoluta originalità della sua struttura e l’atmosfera romantica e surreale che ne discende, essa è considerata una delle città, al mondo, più vicine al pensiero ermetico, soprattutto per i numerosi documenti conservati nella Biblioteca Marciana (8). Quando nel 1453 Cotantinopoli fu definitivamente sconfitta dai Turchi, Bessarione (9) cercò di recuperare i manoscritti disponibili, allo scopo di salvaguardare il pattrimonio letterario greco. Egli riuscì a raccogliere numerose copie del “Corpus Hermeticum” (10) ed una copia dell’”Asclepius” (11) in latino. La copia latina del “Corpus H.” fu pubblicata a Treviso con il titolo “Rimander”, e poi ripubblicata, in seguito, più volte a Venezia. Bessarione donò alla Biblioteca Marciana quasi tutti i testi ermetici da lui reperiti, tra cui possiamo annoverare una copia del “Kyrandes”, nonché alcune raccolte alchemiche tradotte dall’arabo in latino, tra cui, per la prima volta, la versione “vulgata” della “Tavola Smeragdina” (o Smeraldina) (12) di Ermete Trismegisto, dove sono analizzate le corrispondenze tra i metalli e i pianeti. Vi è da sottolineare che l’ermetismo a Venezia è legato anche a nomi molto illustri, come Francesco Giorgi, detto Zorzi, Arcangelo da Borgonovo, Giulio Camillo Delminio, ed il medico danese Peter Severinus, allievo di Paracelso. Ed infine, non si può fare a meno di menzionare Giordano Bruno, che trascorse i suoi ultimi giorni a Venezia, prima di essere denunciato ed arrestato dall’Inquisizione, per il successivo trasferimento a Roma e la tragica fine sul rogo. Riuscendo a cogliere i segni dello straordinario e vivace fermento culturale dell’ermetismo, si possono riuscire a distinguere le classiche, ma nel contempo avveniristiche immagini, del Rinascimento veneziano. Quando si parla della città lagunare, è facile limitarsi alle immagini delle languide gondole che si aggirano nei canali, oppure alle calli stracolme di turisti che cercano un po’ di spazio per la loro affannata, e molte volte fugace, visita turistica. In realtà la città nasconde antiche leggende, misteri insoluti e personaggi enigmatici, che conferisco alla “Serenissima” un aspetto gotico e rinascimentale, perfino nel ventunesimo secolo.
Entrando nel cuore di Venezia, non si può fare a meno di iniziare da Piazza San Marco, una delle più famose piazze del mondo. Le sue cupole, i suoi marmi, i suoi mosaici, i suoi portici allineati ed un pò asimmetrici, trasportano il visitatore in un’altra dimensione. Gli strani ingressi della basilica di San Marco sono il risultato della stessa formazione composita dell’intero edificio: si nota, infatti, che non esiste una vera e propria facciata, che abbia una predominanza sulle altre, ma le varie fronti rappresentano un gioco di piani e di rialzi, di cui non si riesce a scorgere l’inizio e la fine. E’ molto significativo che vi sia quasi un disegno di convergenza tra i vari percorsi esterni che conducono alla basilica, quasi a costituire un “andamento a spirale”, simbolo tradizionale dell’infinito, ma anche dell’inarrestabile crescita ed espansione della stessa città, così sospesa tra un accentuato stile bizantino ed una straordinaria ed irrinunciabile vocazione per il mare. La storia della basilica di San Marco, cattedrale ed attuale sede del patriarca di Venezia, comincia già nell’828, quando fu fatta edificare per ospitare le reliquie di San Marco, trafugate, secondo la tradizione, ad Alessandria d’Egitto da due mercanti veneziani. La chiesa sostituì la precedente cappella palatina dedicata al santo bizantino Teodoro e fu perfezionata nell’832 (13). Ma, distrutta dalle fiamme nel 976, fu fatta ricostruire da Pietro I Orseolo (14) nel 978 e, completata, nell’assetto più o meno simile all’attuale nel 1063, sotto il Doge Domenico I Contarini (15). La nuova consacrazione avvenne nel 1094, anche se fu nuovamente danneggiata da un incendio nel 1231 e subito dopo restaurata. Tra il XII e il XIII secolo, fu completata la decorazione dei mosaici dorati all’interno della basilica, la cui storia successiva procede di pari passo con la gloria della città, nelle sue espansioni culturali, geografiche e commerciali, dotandosi di colonne, fregi, marmi e sculture provenienti dall’Oriente. In particolare, fu il tesoro, frutto del bottino del sacco di Costantinopoli, durante la Quarta Crociata nel 1204, che arricchì in maniera pregevole la basilica. La parte anteriore, tuttavia, fu completata soltanto nel XV secolo, attribuendo una vivace decorazione alla parte alta della facciata (16).
E’ necessario precisare che la basilica di San Marco era considerata “chiesa di stato” e dipendeva direttamente dal Doge che la amministrava tramite un’importante magistratura della Repubblica di Venezia, “i Procuratori di San Marco” (17). Il patriarca risiedeva, invece, presso la Chiesa di San Pietro: si tratta di un indizio particolarmente significativo in merito alla “laicità” (ante litteram), ovviamente rapportata ai tempi, che caratterizzava il florido stato veneziano. La simbologia esoterica della basilica di San Marco è molto profonda ed affascinante, racchiudendo una miscela unica di elemeni ermetici ed alchemici e costituendo un felice compendio della tradizione greco-bizantina e di quella latino-germanica.
Innanzitutto, si nota che il numero predominante nell’edificio è il 5: esso appare visibile sul dado nella cattedra su cui siede il cosiddetto “architetto ignoto”, sul bassorilievo collocato a sinistra del grande arcone della porta centrale. L’architetto ignoto è raffigurato come un vecchio saggio orientale con il turbante: egli è seduto, per sottolinearne la dignità, ma porta anche una stampella che indica un’infermità fisica. Si tratta di un’immagine altamente evocativa, comune sia alla mitologia classica che a quella nordica, che idealizza l’”homo faber”, capace di raggiungere quasi la perfezione, pagando lo scotto della sua arte con i segni dell’infermità. E l’ignoto architetto, che simboleggia ogni uomo che tende alla perfezione, ma non si accontenta mai, è raffigurato nell’atto di mangiarsi un dito. Secondo la leggenda, questa espressione sarebbe derivata dalla punizione che gli avrebbe inflitto il Doge, quando l’architetto, ricevute le congratulazioni per l’opera dall’insigne committente, avrebbe manifestato la propria consapevolezza “di aver potuto operare meglio”.
E il numero 5, quintessenza della basilica di San Marco, si impone “ictu oculi” anche nella struttura delle cinque cupole (18). La cupola centrale rappresenta il Cristo storico e, in ambito geometrico, secondo gli insegnamenti dei pitagorici, ha un significato fondamentale. Osservando con attenzione ed avvalendoci di metodi empirici, si nota che la cupola centrale divide, in quattro triangoli, il quadrato delle quattro cupole esterne. Ora, legando la spiritualità teologica alla tradizione classica, e non alla “vulgata” cattolica, sappiamo che Dio, o la Trinità, può essere rappresentato come un triangolo, mentre il numero 4 si identifica con in quattro punti cardinali. La geometria, a questo punto, ci insegna che la figura che si racchiude in quattro punti può essere deformata, e, pertanto, è anche instabile, mentre il triangolo rimane sempre tale ed immutabile. Da ciò si deduce che il Cristo “storico”, posizionato al centro, rappresenta la “divinizzazione della storia”, tramite l’immagine del quadrato-creato diventato indeformabile, grazie agli angoli originati dalla sua presenza. E, ancora, uno straordinario simbolo esoterico della basilica è rappresentato dal dodecaedro stellato che è posto sul pavimento antistante la porta principale, sotto l’iconostasi e sul coro. Per gli antichi esso era il simbolo del pianeta Venere, a cui era stata consacrata la città di Venezia. Non dimentichiamo che Platone rese il dodecaedro, simbolo dell’armonia del cosmo.
In piazza San Marco, come in tanti luoghi di Venezia, è onnipresente il “leone alato”, che in apparenza si riferisce al presunto evangelista Marco (19), presentato in varie combinazioni, ad esempio con l’aureola sul capo, o con un libro fra le zampe. Il leone di San Marco è divenuto antico simbolo della città di Venezia e della sua Repubblica, nonchè attualmente del Comune, della Provincia e della Regione Veneto. Ma nella tradizione ermetica, il leone è stato sempre il simbolo del sole, per l’immagine di energia e di maestosità che irradia. Nell’iconografia egiziana, il leone era ritratto, molte volte, in coppia: i due leoni disegnavano l’arco che il sole compiva da est verso ovest, dal suo sorgere fino al suo tramontare, con lo sguardo dell’uno rivolto vero l’orizzonte, in una direzione opposta rispetto alla sguardo dell’altro. Tale significato fu ripreso dai filosofi ermetici ed alchemici, che lo sublimarono, affidando al “leone giovane” l’immagine dell’alba ed al “leone vecchio” quella del tramonto. Ciò diventò, poi, la distinzione alchemica tra il leone verde ed il leone rosso, che rappresentavano l’inizio e la fine di ogni opera. Il leone, seguendo questo schema, diventava, pertanto, l’emblema dell’accidentato percorso dell’alchimista per raggiungere la perfezione, dopo la lavorazione della materia trovata in natura (20).
La simbologia numerica è importante anche per un’altra famosissima chiesa veneziana, quella di Santa Maria della salute, edificata dai veneziani, come voto contro la terribile edpidemia di peste (21) e legata anche alla leggenda dei fantasmi dei morti seppelliti sotto le sue fondamenta, che, ogni 21 novembre, in occasione della ricorrenza annuale, farebbero sentire le loro voci e i loro lamenti. La sua edificazione, progettata dall’architetto di origine ebraica, Baldassare Longhena (22), seguì uno specifico schema cabalistico-esoterico. Si nota, oltre tutto, come il prospetto della chiesa sia molto simile al tempio di Venere Physizoa descritto in un celebre libro del Rinascimento, la Hypnerotomachia Poliphili (23). Nella costruzione della chiesa, fu adottato una schema ottogonale ed il numero 8 si trova in ogni proporzione dell’edificio, unitamente al numero 11. Secondo la Cabala, il numero 8 è il simbolo della Salvezza e della Speranza, mente l’11 indica la Forza e la Fede. Sommando l’8 e l’11, si ottiene il 19, che per gli antichi era il numero del sole, mentre per i cristiani quello della Vergine Maria. Si può arrivare ad affermare che la Basilica della salute riesce ad unire l’antico culto pagano per la Dea-Madre-Venere alla devozione della Vergine Maria.
Ma Venezia è legata ad altre leggende, come quelle su antiche reliquie cristiane, considerando i già delineati stretti rapporti con il medio oriente, tra cui non potevano mancare i Templari e il sacro graal (24), la coppa nella quale, secondo la tradizione, Giuseppe d’Arimatea raccolse il sangue di Gesù. Si racconta che la famosa coppa fosse stata nascosta nel trono di San Pietro, il sedile adoperato dall’apostolo, secondo la tradizione, durante il suo soggiorno ad Antiochia, oggi collocato nelle Chiesa di San Pietro apostolo in Castello. Altre tradizioni locali, invece, collocano la preziosa reliquia nella chiesa di S. Barnaba, dove all’inizio del diciassettesimo secolo sarebbe stato trovato il cadavere mummificato di un crociato francese, legato al trasferimento della mistica coppa, fatto questo, che non risulta però documentato (25).
Le pratiche cristiane dell’Inquisizione hanno, inoltre, lasciato un ricordo indelebile nella “Serenissima”, come ad esempio nell’angolo destro della basilica di San Marco è presente un cippo che, secondo la tradizione, era adoperato per le esecuzioni; oppure guardando le colonne del vicino Palazzo Ducale, ne scorgiamo due di colore diverso, dove erano annunciate le sentenze di morte, che poi venivano eseguite nella piazzetta antistante o nel limitrofo Campanile. E proprio quest’ultimo edificio suscita drammatici ricordi, perchè legato alla tradizione del “supplizio di cheba” (26), una gabbia di ferro sospesa nel vuoto, dove i condannati venivano esposti al pubblico ludibrio e alle intemperie, anche per lunghi periodi, aspettando la morte quasi come una liberazione. E ancora il Palazzo Ducale, tanto magnifico quanto avido di segreti, ci offre un altro tremendo supplizio: sul lato della costruzione verso il mare, vi era una colonna, ancora oggi è presente col basamento consumato. Essa rappresentava l’ultima speranza di salvezza per quei condannati capaci di girarci intorno, senza cadere dallo strettissimo basamento su cui poggiava, un’impresa che equivaleva praticamente ad un suicidio prima dell’esecuzione della sentenza. In tale contesto, si inserisce anche il “ponte dei sospiri”, uno dei ponti più fotografato al mondo, suscitando immagini poetiche e sentimentali, mentre in realtà era stato costruito per condurre i condannati nelle carceri. Secondo la tradizione popolare, il nome “dei sospiri” al ponte fu attribuito dall’avventuriero Lord Byron (27), che soggiornò a Venezia per alcuni anni, prima di trasferirsi in Toscana e in Liguria. Sembra che il poeta abbia tratto ispirazione, nell’attribuire il nome al ponte, osservando le ombre dei condannati diretti verso le carceri, che osservavano la luce tramite le piccole finestrelle e che verosimilmente “sospiravano” per gli ultimi aneliti di libertà. Secondo la leggenda, uno dei pochissimi che riuscì a scappare dal ponte dei sospiri fu Giacomo Casanova (28), in una delle tante incredibili avventure attribuite al dongiovanni veneziano.
Suggestivi ed enigmatici sono i miti legati ai palazzi “stregati” come Ca’ dario (29) e Cà Mocenigo Vecchia (30). La fama del primo è conosciuta in tutta la città: costruito dal mercante Giovanni Dario e dedicato al genio della città. In realtà l’iscrizione “genio urbis Joannis Dario” nasconderebbe un terribile anagramma “sub ruina insidiosa genero”. Per alcuni il palazzo sorgerebbe proprio su un nodo di energie negative, che Fulcanelli (31) pottebbe definire “una vera e propria dimora filosofale”. Molto pittoresca è la descrizione di Cà Dario offerta da Gabriele D’Annunzio: “una vecchia cortigiana decrepita piegata sotto la pompa dei suoi monili”, richiamando le misteriose maledizioni che sembravano colpire i proprietari fin dall’inizio (32). Il palazzo Cà Mocenigo Vecchia, invece, è stato testimone della visita veneziana di Giordano Bruno (33). I proprietari del palazzo cercarono di carpire i segreti alchemici del grande maestro, denunciandolo poi come stregone alle autorità e determinandone il trasferimento a Roma. Si racconta che il fantasma del grande Giordano si aggiri ancora in quell’edificio, in cerca di giustizia. La stessa città di Venezia sorgerebbe su una fitta rete di correnti telluriche, sia positive che negative, che avrebbero contraddistinto la sua storia. Lo stesso Canal Grande, a forma di serpente, indicherebbe il drago, simbolo esoterico di forze occulte, che taglia esattamente in due parti la città: la prima, “caput draconis”, la seconda, “cauda draconis”, alla fine della quale troviamo l’isola di San Giorgio, con l’omonima chiesa. Questa non appare una coincidenza da poco, visto che San Giorgio è rappresentato come il santo che uccide il drago, quasi ad indicare una forza che sia in grado di esorcizzare il serpente veneziano.
Non posso, infine, terminare questa breve rassegna dei misteri veneziani, senza fare qualche cenno alla tradizione secolare del Carnevale, che a Venezia si tinge dei colori e dei motivi più disparati. Fin dal Medioevo, durante il periodo di Carnevale, i Veneziani si concedevano trasgressioni di ogni tipo, utilizzando le maschere per poter mantenere l’anonimato e dedicarsi a qualsiasi gioco proibito, senza distinzione di sesso. Per le calli, il saluto ricorrente era “Buongiorno Siora Maschera”, non contando né l’identità personale, tantomeno la classe sociale, poiché tutto doveva essere compreso nella grande illusione del Carnevale. Gli artigiani che fabbricavano le maschere, denominati “maschereri”, si diedero uno statuto codificato fin dal 1436. Vi è da dire che le maschere, nelle loro diverse tipologie, erano utilizzate anche in altri periodi dell’anno, ad esempio nel periodo dell’Ascensione, o durante banchetti ufficiali e feste della Repubblica. La Bauta, composta da un manto nero chiamato “tabarro”, un tricorno nero che si indossava sul capo e una maschera bianca chamata “Larva”, era in uso in molteplici occasioni. Le donne, invece, usavano solitamente la “moretta”, che era una maschera ovale di velluto nero di importazione francese, ornata anche da veli, velette e cappellini a falde (34). E, tuttora, ogni anno il Carnevale viene celebrato come un evento internazionale, in un tripudio di costumi del Settecento, uno dei periodi peggiori della storia veneziana, quando ormai la città viveva un inesorabile declino, perdendo prestigio e indipendenza. E’ quasi sintomatico che le ricorrenze carnevalesche siano ormai ispirate alla languida Venezia di Goldoni (35) e di Vivaldi (36), sospesa tra la gloria del passato e le incertezze del futuro.
Allo stravagante Vivaldi, che compose oltre 450 concerti, la leggenda attribuisce la composizione di un’opera andata perduta, che sarebbe stata la più bella e struggente, a causa dell’invidia di Satana che avrebbe impedito al musicista-sacerdote la soddisfazione di un capolavoro superiore addirittura alle “Quattro stagioni”. E, sempre in chiave demoniaca, sulla scia del suggestivo film “Nosferatu a Venezia” (37), negli ultimi anni si sono diffuse sette dedite al vampirismo, formate anche da ragazzi giovanissimi, a cui si richiede, come rito di iniziazione, quello di bere il sangue del proprio capo. Si tratterebbe di microorganizzazioni che non avrebbero niente di realmente occulto o rituale, ma che si affiderebbero alle mode “new age” del momento, importate soprattutto dagli Stati Uniti. L’elemento raccapricciante è, comunque, il nuovo affermarsi del vampirismo, fenomeno già praticato nel passato, e riesumato grazie anche a numerose saghe televisive e cinematografiche, presentate in chiave falsamente romantica.
In conclusione, mi piace citare una frase di Thomas Mann (38), che così vedeva Venezia nel 1912: “una città per metà favola, per metà trappola per i turisti, nella cui aria insalubre le arti erano un tempo voluttuosamente e mefiticamente fiorite..”. E questa descrizione, dopo più di un secolo, appare ancora più calzante, se si pensa alla strabiliante bellezza di Venezia, ma implicante una serie di problemi cronici e debilitanti, come l’inabissamento progressivo, quasi fosse una moderna e, nello stesso tempo, eterna Atlantide.
Note:
(1) Costantino VII, detto il Porfirogenito (905-959), imperatore bizantino, ma soprattutto artista e letterato. Cfr. Giorgio Ravegnani, Bisanzio e Venezia, Ed. Il Mulino, Bologna 2006
(2)Attila (406-453), condottiero e sovrano unno dal 434 alla sua morte. Unificò la maggior parte dei popoli barbarici dell’Eurasia settentrionale, estendendo il suo impero dall’Europa centrale al Mar Caspio.
(3))Flavio Aurelio Cassiodoro (485 circa- 580 circa), politico, letterato e storico romano di lingua latina.
(4)Paolo Diacono (720-799), monaco cristiano, storico, storico e poeta longobardo di lingua latina.
(5) La Paflagonia era un’antica regione costiera della penisola anatolica centro-settentrionale.
(6)Secondo le narrazioni del padovano Tito Livio, Antenore è un personaggio mitico che fuggì, portando un gruppo di profughi lungo le coste dalmate fino alla foce del Brenta e agli insediamenti dell’antico popolo degi Euganei. Qui, secondo la leggenda, avrebbe consultato un oracolo che gli avrebbe pronosticato la fondazione di una fiorente città. La leggenda è collegata all’origine della bella città di Padova.
(7)Il “Chronicon Altinate” è un codice molto antico. scritto in latino da un autore anonimo, sulle origini della storia di Venezia e del Veneto.
(8)La Biblioteca nazionale Marciana è una delle più importanti biblioteche italiane, è la più importante di Venezia. Essa contiene una delle collezioni di testi originali in lingua greca e latina, tra le più pregevoli del mondo.
(9)Bessarione (1403-1472), cardinale ed umanista bizantino.
(10) Corpus hermeticum rappresenta una collezione di scritti dell’antichità, che ispirò il pensiero ermetico e neoplatonico rinascimentale. Si faceva risalire il “Corpus” all’antichità egizia, in un periodo antecedente a Mosè. Se ne attribuiva l’origine a Ermete Trismegisto.
(11)Si tratta di un compendio di magia talismanica, nel quale si espongono le pratiche dei sacerdoti egizi per animare la statue, tramite l’interazione con forze soprannaturali. In epoca medioevale già circolava la versione attribuita ad Apuleio di Madaura.
(12)E’ un testo sapienziale che, secondo la leggenda, sarebbe stato ritrovato in Egitto, prima dell’era cristiana. E’ attribuito ad Ermete Trismegisto: secondo la tradizione, l’autore avrebbe inciso la parole della Tavola su una lastra verde di smeraldo con la punta di diamante. Cfr. Ezio Albrile, Alchimia. Ermete e la ricerca della vita eterna, Simmetria Edizioni, Roma 2017; Hahajah, La tavola di smeraldo, in “Ibis”, rivista bimestrale di studi esoterici, n° 4,5,6 luglio/dicembre, Bari, 1950.
(13)Cfr. sul tema M. Da Villa Urbani, La basilica di San Marco, Storti Edizioni, Venezia 2001.
(14)Pietro Orseolo I (920-988), politico e Doge di Venezia dal 976 al 978, venerato come santo dalla Chiesa cattolica.
(15)Domenico I Contarini (1000 circa- 1071), fu il 30° Doge accertato dalla Repubblica di Venezia, in carica dal 1041 fino alla morte.
(16)Cfr. R. Polacco, San Marco. La basilica d’oro, Ed. Berenice, Milano 1991.
(17)I “Procuratori di San Marco” rappresentavano la carica vitalizia più insigne della Repubblica di Venezia, subito dopo il Doge.
(18)Cfr. Ettore Vio, da “Omaggio a San Marco”, inserto del “Gazzettino”, 8 ottobre 1994.
(19)L’iconografia tradizionale attribuisce ad ogni evangelista un simbolo: a Marco il leone, a Matteo l’uomo, a Luca il bue, a Giovanni l’aquila.
(20)Cfr. Salvatore Brizzi, Officina alkemica, Anima edizioni, Milano 2008.
(21)Si tratta dell’epidemia di peste del 1630. Fu consacrata dal patriarca Alvise Sagredo, il 9 novembre 1687.
(22)Baldassarre Longhena (1597-1682), uno dei più celebri architetti e scultori italiani del suo tempo.
(23)Letteralmente significa “Combattimento amoroso di Polifilo in sogno”, è un romanzo allegorico, stampato a Venezia da Aldo Manunzio il Vecchio nel dicembre 1499, contenente 169 illustrazioni xilografiche. Il testo è attribuito a doversi autori, tra cui lo stesso tipografo, Leon Battista Alberti, Pico della Mirandola o Lorenzo dè Medici). Un acrostico contenuto nel testo, ne attribuirebbe, invece, la paternità al frate domenicano Francesco Colonna.
(24)Il termine “graal” in francese antico, derivante dal latino medioevale “gradalis”, indica la “coppa”.
(25)Cfr. Giovanni Nosenghi, Il grande libro dei misteri di Venezia risolti e irrisolti, New Compton Editori, Roma 2013.
(26)Il supplizio della “cheba” fu inizialmente ideato per punire gli ecclesiastici colpevoli di sodomia, falso, omicidio e bestemmia. Sembra che sia stata abolita alla fine del XV secolo.
(27)George Gordon Byron (1788-1824), politico e poeta inglese.
(28)Giacome Casanova (1725-1798), avventuriero, scrittore, alchimista, poeta, diplomatico ed anche agente segreto della repubblica di Venezia
(29)Il palazzo Cà Dario si troval civico 353, nel sestiere di Dorsoduro e si affaccia direttamente sul Canal Grande.
(30)Il Palazzo Cà Mocenigo Vecchia si trova nella zona di San Samuele ed affaccia direttamente sul Canal Grande.
(31)Fulcanelli è lo pseudonimo di un autore di libri di alchimia del XX secolo, la cui identità non è mai stata accertata con certezza.
(32)Cfr. Luigi Angelino, Le Tenebre dell’anima, pag. 419, Ed. Cavinato international, Brescia/Trieste 2017.
(33)Filippo Bruno (1548-1600), noto come Giordano Bruno, filosofo, scrittore e monaco cristiano appartenente all’ordine dei domenicani.
(34)Cfr. Tea Stilton, Carnevale a Venezia, Edizioni Piemme, Milano 2016.
(35)Carlo Osvaldo Goldoni (1707-1793), drammaturgo, scrittore e librettista, cittadino della Repubblica di Venezia. E’ considerato il padre della commedia moderna.
(36)Antonio Lucio Vivaldi (1678-1741), grande compositore e violinista, cittadino della Repubblica di Venezia. Era soprannominato “il prete rosso”, per il colore dei capelli.
(37)Nosferatu a Venezia è un film del 1988, dretto da Augusto Caminito, con protagonista Klaus Kinski.
(38)Thomas Mann (1875-1955), scrittore e saggista tedesco. Una delle sue opere più importanti si ambienta proprio nella città lagunare: “La morte a Venezia” (1912).
Luigi Angelino