di Giacinto Reale
Leggendo un libro sulle origini del fascismo a Reggio Emilia, mi imbatto in un episodio, “minore” certamente, ma che conferma in maniera esemplare alcune caratteristiche del primo fascismo che normalmente si tende a trascurare, accettando (talora anche da parte di chi ambisce ad atteggiamenti “non conformi”) tesi basate sul nulla e “verità” che tali non sono.
Ricostruisco prima i fatti, poi due parole di commento, per spiegare l’assunto iniziale:
- il 12 novembre del 1920 alcune decine di studenti ed ex combattenti fondano il fascio di Reggio: fra loro fa spicco la figura di Amos Maramotti, Presidente dell’Associazione Studentesca e iscritto al Partito Repubblicano, che, trasferitosi a Torono per motivi di studio, vi cadrà il 21 aprile del 1921 nell’assalto alla Camera del Lavoro.
E’ una decisione coraggiosa in quella che viene definita la “provincia più rossa d’Italia”, presa in un momento in cui il clima, dopo un periodo di relativa tranquillità – senza grossi confronti cioè tra gli arrembanti giovanotti in camicia nera e i “padroni del vapore” socialisti – durato praticamente tutto l’anno, ricomincia a scaldarsi.
Consapevoli dell’inferiorità numerica, della limitatezza dei mezzi, della mancanza di appoggi, eppur decisi a “muoversi”, questi primi aderenti (che hanno fatto proprio il motto “occhio per occhio, dente per dente”) indirizzano una lettera al giornale socialista locale con la quale diffidano chiunque a usare violenza nei loro confronti, minacciando, in caso contrario di “tenere i capi per responsabili”.
Si tratta di una tecnica qui alle prime prove, ma che diventerà consueta nei mesi a venire, imposta dalla accennata inferiorità numerica: sarà per questo che, un po’ dovunque, le squadre fasciste, dopo aver effettuato un’azione su un paese, (imbandieramento dei luoghi pubblici, sfilate su e giù per fare un po’ di scena, se capita, qualche randellata a un avversario segnalato come intemperante, con gran finale “allietato” dall’incendio di quattro vecchi mobili di una Casa del Popolo), al momento di ripartire affiggono un minaccioso manifesto nel quale, in caso di successive ritorsioni sui pochi fascisti del luogo, minacciano un “ritorno”, con punizioni che colpiranno solo ed esclusivamente i capi dell’opposta fazione.
Così, dunque, si fa a Reggio, e la cosa sortisce buoni effetti: i pochi si fanno rispettare dai molti…
- di fronte al successo delle prime iniziative fasciste, e forti della loro esperienza, fatta anche di “giochi” e connivenze parlamentari, i deputati socialisti del luogo pensano a contromisure e si rivolgono, nel febbraio del 1921, in via prima informale (“pizzini”, insomma) e poi ufficiale al loro collega Camillo Corradini, Sottosegretario agli Interni “di simpatie socialiste”, per chiedere il trasferimento di due rappresentanti della legge di medio livello (il Capitano dei Carabinieri Cazzaroli e il ViceCommissario di PS Marca) colpevoli il primo di avere un figlio reduce fiumano, e il secondo di qualche stretta di mano di troppo con i fascisti in piazza… nulla da dire sui vertici, perché il Questore (definito da un giornale locale “funzionario bolscevico di Giolitti”) e il Prefetto appaiono, invece per niente ben disposti verso i mussoliniani.
La richiesta viene accolta dal Governo, e ciò irrita profondamente i fascisti, che provano un accomodamento, chiedendo, per il 15 aprile del 1921, un incontro con i deputati socialisti locali Giovanni Zibordi e Camillo Prampolini, ritenuti, non a torto, i veri “mandanti” della decisione governativa.
L’incontro, però non sortisce alcun effetto, per l’ostinazione dei due socialisti a dare anche solo una prova di buona volontà, così che, al termine, i due esponenti socialisti sono costretti a tornare a casa di buon passo, perché le strade pullulano di fascisti minacciosi, a stento trattenuti dalla forza pubblica.
Un estemporaneo contatto fisico si ha sotto il portone di casa del Prampolini, con qualche spintone e l’esplosione di tre colpi di una pistola di piccolo calibro: a casaccio, però, e probabilmente in aria, ché nessuno viene colpito e danni subisce solo il soffitto dell’androne del palazzo.
- conclusosi infruttuosamente questo incontro, i fascisti fanno un passo avanti, e, adoperando un sistema coercitivo ereditato dai loro avversari che ne avevano fatto grande uso nel biennio 1919-20, danno il “bando” all’on Zibordi, vietandogli il ritorno a Reggio Emilia
E, per dimostrare che fanno sul serio, quando l’esponente socialista, reduce da Roma, si riaffaccia in città, lo costringono a cercar rifugio nella Camera del Lavoro, dalla quale poi si allontanerà con destinazione Milano, dove resterà – fuori dalla p
olitica – fino alla caduta del fascismo.
olitica – fino alla caduta del fascismo.
- il trasferimento dei due tutori dell’ordine resterà inattuato: mai ufficialmente revocato, ma riposto in un cassetto, “per non esasperare gli animi”, come si disse
Ho detto prima che questo piccolo episodio locale suggerisce alcune considerazioni che hanno, però, carattere generale… ne accenno per sommi capi, ma ciascuna meriterebbe un più approfondito discorso a parte:
- irripetibilità del fenomeno squadrista: manifesti con minacce di ritorsione, bandi, disponibilità all’uso della forza – in una sostanziale latitanza delle Forze dell’ordine, che durava dalla fine della guerra – erano concepibili solo in un contesto già provato da due anni di violenze socialiste e, prima ancora, da quattro anni di conflitto in armi
- esagerazione del discorso sull’uso della violenza da parte dei fascisti: ai due – pur “odiati” – esponenti socialisti non viene torto un capello e i tre colpi di pistola appaiono verosimilmente esplosi in aria, a puro scopo intimidatorio
- inadeguatezza “sul campo” della controparte che pure ad ogni piè sospinto invoca i bagni di sangue della Russia leninista: non ci vuole poi molto a convincere Zaccardi della irrespirabilità del clima reggiano e a consigliargli un più sicuro approdo a Milano
- limitatezza delle collusioni tra Forze dell’ordine e fascisti, sulle quali tanto si è fantasticato, a media e (soprattutto) bassa forza, che più risente del clima di odio creato dai socialisti nei confronti degli uomini in divisa e delle loro famiglie: i vertici istituzionali appaiono, piuttosto chiaramente “governativi”, e non alieni dal ricorso ai tradizionali strumenti di repressione: per l’incruenta tentata aggressione ai due parlamentari socialisti, cinque esponenti fascisti verranno condannati a diversi mesi di carcere per il reato di violenza privata
Insomma, rileggendo i fatti di Reggio Emilia, credo si possa dire con buona approssimazione che ciò che non rientra in questo quadro (in particolare: esasperata violenza gratuita, disponibilità degli avversari a far seguire i fatti alle sanguinarie minacce del “biennio rosso”, connivenza piena dei vertici militari e polizieschi) rappresenti piuttosto l’eccezione.
Il quadriennio squadrista non fu una passeggiata, ma nemmeno la crociana “calata degli Hiksos”…