Mi hanno regalato una bottiglia di sangiovese DOC e ho scoperto che ormai da tempo l’Ente di Tutela Vini Romagnoli, un Consorzio di Cantine che producono, imbottigliano e commercializzano vini di Romagna a denominazione di origine controllata, ha scelto come marchio che contraddistingue la produzione l’immagine de “il Passatore” . Così con un buon bicchiere fra le mani scattano le riflessioni.
I simboli sono importanti, sintetizzano significati complessi e sono rivelatori dell’animo di chi li sceglie . È tristemente indicativo per i romagnoli che essi abbiano scelto quale personaggio che li rappresenti la figura di un brigante, il cosiddetto “Passator cortese”, che assurse agli onori della cronaca intorno alla metà del 1800. È chiaro che se la gente ne parla ancora e se la sua immagine compare sull’etichetta di un vino pregiato, significa che le sue vicende hanno colpito la fantasia del popolo. C’è stato un tempo in cui i briganti tingevano di paura le favole della buonanotte davanti al focolare, o un brigante diventava la speranza di riscatto per famiglie povere soffocate da tasse e ingiustizie con una nidiata di bambini da sfamare, ma in realtà Stefano Pelloni, alias il Passatore, fu un prepotente, un arrogante, che compì crudeli vendette e che perseguitò con feroce accanimento e freddezza le persone che gli si opponevano o cercavano di contrastarlo.
Portò a segno rapine in ogni paese della Romagna seminando terrore e lasciando morti sul suo cammino, se ne contano almeno una ventina a suo carico, ma sia ben chiaro che la sua avventura non ebbe nulla di politico. Egli non si interessò mai di liberare la sua terra dall’oppressore, ma semplicemente di arraffare quanto più possibile unicamente per personale tornaconto.
Un triste figuro dunque, da non assimilare neanche lontanamente ai briganti “resistenti” del sud Italia come Carmine Crocco per dirne uno, figura controversa ma sicuramente uomo intelligente, o come senza andare troppo lontano, il bolognese Prospero Baschieri, “insorgente”di gran cuore e di immensa forza, le cui imprese non sono da considerare atti di un criminale comune, ma vanno inquadrate nel contesto dell’insurrezione popolare di una Bologna sofferente per le continue ingiustizie patite durante il dominio napoleonico. Pelloni, la cui immagine più frequentemente riportata con la barba lunga e l’archibugio, non lo rappresenta affatto come era nella realtà, mingherlino e coi baffetti, egli non fu niente altro che un feroce stupratore, un bandito senza alcuno spessore storico, uno ”scemo del villaggio” , sifilitico, che rubava ai ricchi, poiché rubare ai poveri è, come si dice “cercare il grasso nella cuccia del cane”. Un egoista che ai bisognosi non dette mai il becco di un quattrino e quando elemosinò qualcosa, lo fece per comprare connivenze, silenzio e puttane.
Fu tal Peppino Garibaldi, il primo a darne un’immagine positiva: “Le notizie del Passatore sono stupende, pare fare prodigi…”
Dall’esilio a New York dove si era rifugiato scriveva “Noi baceremmo il piede di questo bravo italiano che non paventa, in questi tempi di generale paura, di sfidare i dominatori.”
Garibaldi aveva dimenticato di notare che le scorrerie della banda Pelloni non conobbero tregua nemmeno nel periodo del triumvirato Mazzini-Saffi-Armellini e della Repubblica Romana.
Non c’era nessun eroe dal cuore buono ed è sintomatico che il Passatore attirasse l’ammirazione di un pirata, come lo definì Spadolini , ne “Gli uomini che fecero l’Italia” o di un negriero secondo Giorgio Candeloro, nell’intervista a La Repubblica” del 20/1/1982, Luigi Pirandello, anche se anti borbonico nella sua novella “L’altro figlio“, fa dire ad una protagonista che Garibaldi asseriva di portare “la libertà”, in realtà si limitò a liberare dalle carceri tutti i delinquenti e i criminali. Il nizzardo resta purtroppo il bisnonno di questa bella Patria di ladri e delinquenti, e la sua ammirazione per il Passatore conferma che una persona è attratta da un’altra persona con lo stesso grado di valori e sincerità. “Similia similibus”.
Ci sarebbero in Romagna personaggi di tutt’altra levatura a cui fare riferimento come simbolo e, se vogliamo che il presente sia sorretto dalle nostre migliori tradizioni e conservi le più profonde radici, i romagnoli dovrebbero, ad esempio, guardare piuttosto a Teodorico, principe germano, che seppe dar vita, almeno in parte, a uno dei momenti storici più luminosi e addirittura fondanti l’etnia e la cultura romagnola.
Durante il suo governo si ebbe un florido rifiorire dell’agricoltura, in conseguenza anche di bonifiche, fu dato incremento all’edilizia restaurando le antiche costruzioni e innalzandone di nuove, si sforzò di assicurare la pace con provvedimenti volti a promuovere l’intesa e la convivenza tra goti e romani con un’abile politica di accordi e tolleranza. A Ravenna, Teodorico chiamò i migliori artisti del mosaico per decorare tra i tanti monumenti, di cui finanziò la costruzione, una delle più belle basiliche d’Europa, Sant’Apollinare Nuovo. Ancora oggi indiscussa manifestazione del gusto, della grandezza e del mecenatismo di un re che, di fronte a tale magnificenza, è impossibile definire “barbaro” nel senso negativo che noi attribuiamo al termine.
L’Impero Romano era crollato e buon per noi che le invasioni avvennero a opera di genti nordiche, le quali rinvigorirono, rinsanguarono, la popolazione della penisola in modo positivo e ci consentirono l’opportunità di godere ancora di alcuni secoli di civiltà, grazie a questi uomini, alla loro cultura il Medioevo ghibellino italiano brillò di luminosi momenti di carattere sia spirituale che materiale.
Oggi sta avvenendo il contrario, l’invasione viene dall’Africa e noi scivoliamo inesorabilmente verso la fine. Purtroppo i romagnoli inconsapevoli della loro importante discendenza, mancano di una cultura elettiva, di un impianto etico che aspiri alla conservazione di una civiltà propria e più elevata.
Non ha aiutato in questo percorso di formazione e di crescita l’ideologia dominante degli ultimi settant’anni, ispirata a ideali che hanno prodotto invece un livellamento verso il basso, una sorta di mito dello “scarriolante” e della “mondina” che ha finito col farci perdere completamente la nostra identità trasformando i giovani in “piadinari” da ombrellone e discoteca. Lo dico senza nessun disprezzo, anzi con tutto il rispetto per i lavoratori delle braccia che sudano sangue per arrivare alla fine del mese, ma questo era il popolo “bue”necessario alle logiche di Partito: braccianti, operai da fabbrica alla mercè dei sindacati, volontari per le feste dell’Unità.
I nostri governi locali, sguazzano oggi nel fetore della banca centrale europea, nell’elemosina dei fondi per la “crescita”e nel business “dell’accoglienza” da essa foraggiato, che riempie gli hotels della riviera di profughi illegali, esattamente come ieri aspiravano voluttuosamente l’olezzo dei finanziamenti dei partiti fratelli dell’Est.
Tra Marduk (cioè Mordechai:il giovane Moses Kiessel Marx Mordechai Levi assunse il nuovo nome di Karl Marx) e Barouch (consigliere di Roosvelt e fondatore della Federal Reserve) non c’è differenza alcuna: il puzzone di marcio è sempre lo stesso ed è nemico viscerale dell’Uomo Europeo.
Si destino dal letargo i romagnoli e le italiche genti, se non è troppo tardi, si sollevino dal fango, si ripuliscano le vesti e decidano di affrontare i tempi cruciali, che verranno, armati della propria identità, della propria cultura, delle proprie radici che sono l’arma più potente di cui potranno disporre. E per tornare da dove sono partita in questo volo pindarico, si ricordino che il sangue non è acqua, ma neanche vino.
Franca Poli
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