di Fabio Calabrese
Forse vi domanderete una cosa per quanto riguarda gli articoli che finora ho pubblicato su “Ereticamente”. Dopo una panoramica a partire dalla politica e dalla religione, passando per la storia, la scienza, la filosofia, la letteratura e infine l’etica (su ciò però non mi dilungo oltre, mi hanno raccomandato quanto meno di non esagerare nel fare “il riassunto delle puntate precedenti”), perché non compiere un ultimo passo, mettere la chiave di volta di un edificio che ormai sta diventando consistente, e tracciare i lineamenti complessivi di un’ideologia, cioè in ultima analisi chiudere il cerchio e tornare sul piano dell’azione politica, perché una cosa è certa: la conoscenza serve a orientare l’azione, le scelte esistenziali, altrimenti è erudizione morta e inutile.
Io tuttavia preferirei usare il termine “visione del mondo”, “Weltanschauung” se preferite, la parola “ideologia” mi suscita un’irresistibile diffidenza.
Facciamo un esempio classico di ideologia:
“La storia ha una natura intimamente progressiva, il progresso consiste nell’ascesa al potere delle masse, essa è pertanto destinata a culminare nella rivoluzione proletaria mondiale”.
Vi riconoscete in questa concezione? Credo proprio di no: se così fosse, navighereste su altri siti, non su quello di “Ereticamente”.
Il concetto di ideologia ha una storia singolare: i primi a definirsi ideologi furono agli inizi dell’ottocento un gruppo di intellettuali francesi che comprendeva madame De Stael, Benjamin Constant, Alexis De Tocqueville. “Les ideologues”, “gli ideologi” davano a questa parola un significato neutro di “studiosi delle idee”, così come ci sono i sociologi, gli antropologi, gli psicologi e via dicendo.
Tuttavia Karl Marx si impadronì di questa parola dandole un significato affatto diverso. Per Marx (“L’ideologia tedesca”) essa indicava l’insieme di idee FALSE che dominano una società:
“Le idee della classe dominante sono le idee dominanti di una società”.
Cioè quelle che legittimano il sistema, rendendosi conto che nessun sistema può reggersi stabilmente basandosi solo su di un bruto potere costrittivo, ma deve persuadere i sudditi della propria bontà e legittimità, o almeno deve cercare di farlo.
Poiché “ideologia” è per Marx sinonimo di falsità, è un fatto molto significativo che subito dopo la sua morte si sia cominciato a parlare da parte dei suoi esegeti di “ideologia marxista”, un’implicita confessione della falsità del marxismo. Questo non è avvenuto certamente a caso: il marxismo, come è stato formulato dal suo enunciatore e predicatore, conteneva una serie di predizioni essenziali per la sua visione politica, e che si sono rivelate del tutto errate: che vi sarebbe stato un crescente immiserimento e “proletarizzazione” delle società industriali con la scomparsa del ceto medio, che il mondo si sarebbe sempre più diviso in due campi contrapposti: da una parte la schiera sempre più esigua dei ricchissimi e potenti, dall’altra un’enorme massa di nullatenenti che a un certo punto si sarebbe ribellata e avrebbe annientato i primi. Al contrario, quello che si è verificato, è stata l’espansione delle classi medie e il crescente imborghesimento del ceto operaio, assieme a un generale miglioramento delle condizioni di vita durato fino alla fine del XX secolo.
L’evoluzione del marxismo dopo Marx è stata forse l’esempio più brillante del potere delle ideologie di sopravvivere alle smentite della realtà: l’ideologia è stata riformulata in modo da non tenere conto della realtà, e diventasse essa stessa il criterio per decidere ciò che è “vero” e ciò che non lo è. Qui c’è un’analogia che salta agli occhi allo storico smaliziato, eppure sulla quale si evita perlopiù di soffermarsi. Storicamente, il cristianesimo è andato incontro a un’evoluzione del tutto analoga.
Basta leggere i vangeli con un po’ di attenzione per accorgersi che il fondatore della religione cristiana riteneva imminente il Secondo Avvento e la fine (o la rigenerazione) del mondo allora conosciuto e, accessoriamente, la fine del dominio romano e la rinascita di Israele sotto una dinastia davidica. “Alcuni di voi non gusteranno
la morte prima che tutto questo sia avvenuto”.
la morte prima che tutto questo sia avvenuto”.
Profezie che la storia si incaricò presto di smentire; ecco quindi che i cristiani riformularono la loro dottrina staccandola dal messianismo ebraico facendone una religione universale e rendendola inattaccabile dalla realtà. In questa forma il cristianesimo è durato fino al tempo presente e dura tuttora. Quanto più si confrontano marxismo e cristianesimo, tanto più se ne scoprono sorprendenti analogie. Potremmo forse dire che questa religione venuta dall’oriente che oggi alcuni identificano con la tradizione, è stata il bolscevismo dell’antichità.
Torniamo al marxismo. Per tutto il XIX secolo e il primo ventennio all’incirca del XX, “sinistra” significava essere dalla parte dei ceti popolari, dei democratici, dell’allargamento del suffragio, delle riforme sociali. A partire dal colpo di stato bolscevico avvenuto in Russia nel 1917 e falsamente noto come “rivoluzione d’ottobre”, il significato di questa parola ha cambiato completamente segno passando a indicare, oltre ai suoi alleati, una delle più feroci autocrazie della storia, una tirannide che non ha concesso ai suoi sudditi alcun diritto e alcuna libertà, oltre e tentare di espandersi per l’intero pianeta come un cancro.
Sarebbe sbagliato pensare che i bolscevichi abbiano tradito le idee di Marx; in effetti non hanno fatto altro che applicarle alla lettera, attribuendo al popolo lavoratore la proprietà TEORICA dei mezzi di produzione e a se stessi il controllo effettivo di essi e della vita sociale e politica di un Paese, abolendo tutti gli strumenti di mediazione sociale e politica, si crea una nuova autocrazia dotata di potere illimitato, mentre al popolo non restano né diritti né strumenti per soddisfare i propri bisogni, però è vero che in tal modo il plusvalore scompare.
E’ sintomatico che per la “nuova classe” dei bolscevichi al potere non si sia potuto trovare un nome meno pudico/ipocrita di “Nomenklatura” che nel gergo antecedente “la rivoluzione” indicava la lista dei “compagni di sicura fede”.
Una controprova del resto è facile da farsi: dovunque “la ricetta” di Marx è stata applicata: dalla Russia alla Cina, alla Jugoslavia, a Cuba, al Vietnam, alla Cambogia (ve li ricordate i Khmer rossi?), all’Etiopia, all’Angola, al Mozambico, ha dato dovunque GLI STESSI risultati.
Per i marxisti, l’emergere fra le due guerre mondiali dei movimenti fascisti, fu un fenomeno imprevisto e inspiegabile, si inventarono la tesi strampalata del “cane da guardia del capitalismo”. Possibile che milioni di uomini in tutto il mondo fossero plagiati o prezzolati? Il fatto è che prendere atto della semplice verità avrebbe avuto conseguenze auto-distruttive sulla loro ideologia e loro stessi, perché quei milioni di uomini appartenenti in massima parte alle classi lavoratrici, si rendevano conto benissimo di ciò che loro non volevano vedere: che il “paradiso dei lavoratori” che costoro avevano realizzato in Unione Sovietica e che minacciavano di estendere al mondo intero, era un inferno spaventoso soprattutto per la gente del popolo, priva di libertà e di diritti, e stremata fino alla fame, e intendevano impedire con ogni mezzo che questa mostruosità proseguisse oltre.
“Cane da guardia del capitalismo”, ma che pastore è quello che a questo povero cane non riserva altro che bastonate e calci, e fa entrare il lupo nell’ovile con tutti gli onori?
Una conoscenza appena approfondita dei fatti smentisce “la vulgata” storica ufficiale che per motivi diversi marxisti e liberal-capitalisti hanno fatto propria. Già all’inizio degli anni ’30 negli Stati Uniti il “New York Times”, il più autorevole quotidiano americano attraverso la penna di una delle sue firme allora più prestigiose, Walter Duranty, diffondeva presso l’opinione pubblica un’immagine idilliaca dell’Unione Sovietica di Stalin, mentre l’amministrazione Roosevelt concedeva alla stessa aiuti di ogni sorta nonostante gli Stati Uniti stessi stessero appena uscendo da una crisi economica senza precedenti, nella dichiarata convinzione di favorire in tal modo il passaggio – ritenuto imminente – alla liberal-democrazia del colosso sovietico. Roosevelt non nascose mai la sua simpatia per Stalin che definiva “Un ometto pieno di dignità”. Tutto ciò contrastava in maniera schiacciante con l’odio feroce che veniva predicato nei confronti della Germania nazionalsocialista non appena Hitler diventò cancelliere, e verso la stessa Italia fascista dopo l’impresa d’Etiopia (che palesemente non fu che un pretesto considerato che in fatto di domini coloniali l’Inghilterra era arrivata a possedere quasi un terzo delle terre emerse del Globo, la Francia poco meno e gli stessi Stati Uniti possedevano colonie quali Cuba, Portorico e le Filippine, per non parlare del West dove si erano “fatti largo” massacrando cinque milioni di Americani nativi “pellirosse”).
Il crollo dell’Unione Sovietica e l’apertura degli archivi rimasti impenetrabili per settant’anni ha portato alla ribalta molte cose, ma su di esse il pubblico italiano, pesantemente vittima della censura di informazioni storiche scomode per la sinistra, è stato tenuto all’oscuro. Solo in tempi molto recenti, ad esempio, è filtrata su internet, ma non è certo arrivata al grosso pubblico una recensione apparsa su The Journal of Historical Review del luglio-agosto 1988 a firma di Daniel W. Michaels, dedicata a una serie di libri scritti a partire dal 1992 dall’ex agente del KGB Vladimir Rezun che li ha firmati con lo pseudonimo di Viktor Suvorov, nei quali apprendiamo che l’Operazione Barbarossa prevenne soltanto un imminente attacco sovietico all’Europa occidentale, non solo, ma che gli Stati Uniti fornirono aiuti MILITARI all’Unione Sovietica già alla fine degli anni ’30, prima che il conflitto scoppiasse in Europa:
“ Suvorov fa notare che gli Stati Uniti hanno rifornito la Russia
sovietica di armamenti pesanti sin dalla fine degli anni 30. Cita lo studio di Antony C. Sutton, National Suicide (suicidio nazionale), Arlington House, 1973, il quale racconta che nel 1938 il Presidente Roosevelt concluse un accordo segreto con l’URSS per lo scambio di informazioni militari”.
sovietica di armamenti pesanti sin dalla fine degli anni 30. Cita lo studio di Antony C. Sutton, National Suicide (suicidio nazionale), Arlington House, 1973, il quale racconta che nel 1938 il Presidente Roosevelt concluse un accordo segreto con l’URSS per lo scambio di informazioni militari”.
Anche rimanendo nell’ambito dei fatti storici ben accertati e conosciuti, pensiamo a quel vero e proprio preludio alla seconda guerra mondiale che fu il conflitto civile spagnolo. Gli aiuti e le simpatie delle democrazie occidentali andarono tutti alla parte “repubblicana” cioè comunista. Possibile che da parte “liberal-democratica” si sottovalutasse così gravemente il pericolo insito nell’avere due stalinismi convergenti alle estremità orientale e occidentale dell’Europa?
Ancora, dopo l’attacco della Germania alla Polonia, che i Polacchi, falsamente persuasi di un immediato intervento franco-britannico al loro fianco, fecero di tutto per provocare, l’Unione Sovietica aggredì a sua volta la Polonia. Mentre l’attacco tedesco era per gli occidentali un inammissibile gcasus bellih e provocò l’allargamento a dismisura del conflitto, quello sovietico non disturbò minimamente le gsensibili coscienzeh di Parigi, Londra, Washington. Già prima di allora, l’Unione Sovietica aveva tolto la Moldavia alla Romania e la Rutenia subcarpatica alla Cecoslovacchia, aggredito e annesso le tre repubbliche baltiche di Estonia, Lettonia e Lituania, e si preparava a fare altrettanto con la Finlandia, ma se i tentativi tedeschi di riprendere il controllo dei territori nazionali amputati dalle assurde clausole del trattato di Versailles erano una prova della volontà di espansione planetaria della Germania, le aggressioni sovietiche contro stati inermi e indifesi dimostravano solo la volontà di Stalin di buon vicinato col mondo intero.
Recentemente, un mio critico mi ha accusato di avere uno stile espositivo “arruffato”, di passare per così dire di palo in frasca, come adesso, che siamo passati da considerazioni di carattere molto generale a questioni storiche in un certo senso più spicciole, ma onestamente non so come si possa procedere altrimenti, perché qui occorre mettere in rilievo un fatto assolutamente centrale che viene negato basandosi su di una serie di distorte interpretazioni “ad hoc” dei fatti storici: dei due “socialismi” che nell’epoca fra le due guerre mondiali ce n’è uno che il sistema capitalista ha percepito come un pericolo alla sua egemonia, questo non è stato quello marxista-comunista-bolscevico-sovietico, ma quello fascista, che esso ha combattuto con ogni mezzo.
La coalizione antifascista che nel 1945 stritolò l’Europa, facendole perdere non solo l’egemonia planetaria di cui aveva sin allora goduto, ma la sua stessa indipendenza, trasformando gli stati europei in colonie russe o americane, non era come ci è stato dato a credere, un’alleanza momentanea fra nemici fondamentali. Capitalismo e bolscevismo erano due facce della stessa medaglia; è stato piuttosto il periodo della Guerra Fredda, del resto intervallato da lunghe fasi di distensione, a essere qualcosa di anomalo. Lo dimostra il fatto che oggi, dopo la caduta dell’Unione Sovietica, il capitalismo finanziario internazionale affama-popoli e la cosiddetta sinistra si ritrovano accomunati dagli stessi obiettivi: il mondialismo, la globalizzazione, la scomparsa di nazioni, etnie, culture e stati nella concretizzazione di un’utopia cosmopolita che è nel contempo il perfetto “mercato”.
Potremmo spingerci più in là e pensare che se il pugno di profittatori che sta dietro l’alta finanza mondiale ha scelto fin da subito, dei due socialismi antagonisti della prima metà del XX secolo, di puntare a favorire quello di tipo bolscevico-sovietico, è perché era ben conscio che alla fine esso, nonostante la sua apparente potenza e baldanza, avrebbe finito prima o dopo per implodere, per crollare sotto il suo stesso peso, come difatti è successo. Nello stesso tempo, la diffusione di questa ideologia fra le masse popolari, costituiva il più efficace sbarramento contro una rivoluzione socialista-nazionale.
La mortale sterilità del “socialismo” marxista che alla fine ha portato al collasso perfino un gigante come il colosso sovietico, è – ritengo – qualcosa di intrinseco a questa ideologia: la teoria e la pratica dell’egualitarismo che è il contrario della vera uguaglianza che significa uguaglianza di opportunità per ciascuno di dimostrare le proprie differenti capacità. Uguaglianza di opportunità e selezione: qualità, non quantità: quando ci si allontana da ciò, non si può approdare ad altro che a una nuova casta di burocrati onnipotente quanto inefficiente e a garantire per la gran massa della popolazione la miseria in un solido tandem con l’oppressione e l’assenza di diritti.
Su quale sia la situazione che si presenta oggi, a una generazione di distanza dal crollo dell’impero sovietico, non sembra che la chiarezza abbondi, e di certo non lo si può ritenere un caso, dato che chi detiene le leve dell’informazione è in ultima analisi anche chi detiene le leve del potere. Occorre dire che all’epoca della Guerra Fredda in qualche misura liberal-capitalismo e comunismo si bilanciavano impedendosi reciprocamente di arrivare alle conseguenze più estreme che avrebbero spinto i sudditi di un blocco a buttarsi nelle braccia dell’altro. Oggi, questo precario equilibrio si è rotto.
Consideriamo che comunismo e capitalismo non sono mai stati due sistemi che si possano considerare a prescindere da un determinato contesto storico, in qualche modo autosufficienti e auto-fondanti, ma due forma di attacco alla struttura tradizionale dell’Europa; da un lato il sovvertimento politico mirante all’eliminazione di tutte le gerarchie e di tutte le forme in cui si manifestava la cultura tradizionale, dall’altro il sovvertimento economico con la concentrazione della ricchezza nelle mani del ceto più parassitario della società. A fronte di ciò il socialismo nazionale fascista, quel che oggi del tutto impropriamente viene denominato “destra sociale” (perché in effetti NON E’ destra), si presentava/si presenta come una forza ricostruttiva tesa a riannodare il legame organico fra i membri di una società che va concepita più come un’unità, un’impresa comune che co
me un’arena deputata allo scontro degli interessi contrapposti.
me un’arena deputata allo scontro degli interessi contrapposti.
Ciò premesso, siamo in grado di comprendere quel che sta avvenendo oggi. Non è un caso che in un tempo che può apparire lungo sul metro delle nostre esperienze individuali, ma che agli occhi di qualche storico futuro potrà apparire una rapida successione, e di certo è una concatenazione logica quasi fosse – e probabilmente è – la realizzazione di un piano a lungo studiato, al crollo dell’Unione Sovietica siano seguiti, oltre a una politica estera americana tesa a estendere in tutto il mondo “la democrazia”, cioè un sistema di stati vassalli agli stessi USA, la creazione della UE, una pseudo-unione europea il cui unico “potere forte” è costituito dalla BCE, cioè un’organizzazione bancaria PRIVATA cui è affidato il controllo della moneta, l’introduzione dell’euro, cioè la rinuncia degli stati nazionali europei alla sovranità monetaria, e infine la crisi – programmata – che sta distruggendo le economie occidentali e in primo luogo europee a partire dal 2008.
Non lo dico io questo, lo ha rivelato in un discorso tenuto alla LUISS il 22 febbraio 2011 Mario Monti, il nostro pseudo-presidente del Consiglio, in realtà “commissario” impostoci dalla BCE:
“Non dobbiamo sorprenderci che l’Europa abbia bisogno di gravi crisi per fare passi avanti, i passi avanti dell’Europa sono per definizione cessioni di parti di sovranità nazionali a un livello comunitario, è chiaro che il potere politico ma anche il senso di appartenenza dei cittadini a una comunità nazionale possono essere pronti a queste cessioni sono quando il costo politico e psicologico del non farle diventa superiore al costo del farle perché c’è una crisi in atto visibile e conclamata. Abbiamo bisogno delle crisi come il G20 per fare passi avanti, ma quando una crisi sparisce, rimane un sedimento perché si sono messe in opera istituzioni, leggi ecc… per cui non è pienamente reversibile. (…).
In poche parole, le crisi sono strumenti messi in atto per costringere gli stati nazionali a cedere parti sempre più consistenti della propria sovranità. Una volta ceduto al ricatto, gli stati nazionali avranno sempre meno modo di difendersi, e tutti i “rimedi” attuati da Monti e individui della stessa risma che non sono altro che proconsoli della BCE, “rimedi” che consistono nel provocare la recessione aggravando l’imposizione fiscale oltre ogni limite ragionevole, il che equivale a salassare qualcuno che sta morendo per dissanguamento, possono solo avere l’effetto di aggravare la crisi e cronicizzarla.
La distruzione dell’economia europea è solo una delle due ganasce della tenaglia che ci sta stritolando, l’altra è quella del declino demografico programmato e dalla creazione delle condizioni che rendono impossibile frenare l’immigrazione extracomunitaria, allo scopo di far sparire popoli, etnie, culture per lasciare il posto a un’umanità ibridata e indifferenziata senza diversità culturali che ostacolino il suo divenire il perfetto e globale “mercato”.
Ora, si guardi bene che la sinistra italiana, europea, internazionale, ciò che ne rimane dopo il crollo dell’impero sovietico, i comunisti che hanno cambiato nome ma non mentalità e non hanno imparato nulla dai fallimenti passati, è perfettamente allineata con questo piano mondialista. Ostile da sempre agli stati nazionali, da sempre convinta che l’inasprimento fiscale sia il rimedio a tutti i problemi dell’economia, entusiasta dell’idea della creazione attraverso l’immigrazione di una società etnicamente ibrida, infettata di radicalismo al punto da vedere nei matrimoni gay un obiettivo più importante della creazione di posti di lavoro, è nei fatti oggi il miglior supporto politico alla realizzazione delle finalità del grosso capitale internazionale finanziario-parassitario, e che le classi lavoratrici siano le prime a pagare le conseguenze di questo tipo di politica, sembra essere diventato per essa un fatto del tutto marginale.
Si direbbe che la coalizione che ha schiacciato l’Europa nel 1945, provvisoriamente divisa in due campi contrapposti ai tempi della Guerra Fredda, si sia oggi riformata e abbia ripreso la sua distruzione con metodi certo meno cruenti dei bombardamenti che durante il conflitto mondiale uccisero milioni di vittime inermi, ma forse in prospettiva meno rimediabili e più definitivi delle distruzioni di allora.
Ideologia? Se per essa si intende marxisticamente una lente deformante da sovrapporre alla percezione del reale, adattare i fatti alle idee o ai gusti soggettivi, invece che le idee ai fatti, è qualcosa che possiamo lasciare ai “compagni”. A noi basta conoscere la realtà e considerarla per com’è.
Forse a qualcuno potrà sembrare strano che una percezione “giusta” delle dinamiche del nostro tempo e una linea di azione “giusta” si trovino proprio in un’area estremista e non in quella moderata, nell’ “aurea mediocritas” che spesso è tutt’altro chaurea. “Un moderato”, ha detto qualcuno, “è una persona che, se ci sono due gruppi, uno dei quali sostiene che due più due è uguale a quattro, e un altro sostiene che è uguale a sei, ne deduce automaticamente che due più due fa cinque”.
Il gergo politico ha la peculiarità di distorcere il significato delle parole. Nel linguaggio ordinario, un moderato dovrebbe essere una persona ponderata e riflessiva. Bene, noi ce la ricordiamo bene la non tanto remota era Bush quando “i moderati” reclamavano la nostra partecipazione alle aggressioni americane contro l’Irak e l’Afghanistan e credevano di avere ragione strillando più forte, mentre “le estreme” avanzavano dubbi e perplessità circa imprese che rispetto ai costi e al prezzo in vite umane che avrebbero – e hanno – comportato, non avrebbero – e non hanno – port
ato alcun beneficio, tranne forse quello che spesso sono stati dei nostri ragazzi a lasciarci la pelle al posto dei G. I. yankee.
ato alcun beneficio, tranne forse quello che spesso sono stati dei nostri ragazzi a lasciarci la pelle al posto dei G. I. yankee.
Estremista? Noi non siamo una parte estremista, siamo una parte che uscita sconfitta dal secondo conflitto mondiale, ha alle spalle settant’anni di emarginazione e di ostracismo e che, nonostante tutto, continua a indicare l’unica via di salvezza possibile per l’Italia e per il nostro continente.
6 Comments