9 Ottobre 2024
Filosofia

“Visioni della crisi” e rigenerazione dell’Occidente – Luca Valentini

Nell’ambito della filosofia anti – positivista ed anti – modernista, diverse sono state le personalità che hanno sapientemente esposto una dottrina della crisi e della decadenza dell’attuale società occidentale, ritrovando la radice profonda di tale catabasi in tematizzazioni, non solo tradizionalistiche (Evola e Guènon su tutti), ma anche di natura prettamente esistenzialistica e filosofica. Due importanti esponenti di suddetta critica sono sicuramente Oswald Spengler e Martin Heidegger, che, in circostante e modalità differenziate, hanno voluto esprimere il senso di un circostanziata ermeneutica della decadenza, in cui i riferimenti comparativisti come quelli platonici e nietzschiani risultano essenziali quali veri solve et coagula di un pensiero che, necessariamente, deve distruggere se stesso per aspirare alla propria rinascita.

In tale direzione si dirige e si caratterizza molto brillantemente un recente libro di Francesco Boco – con un interessante introduzione a firma di Adriano Scianca – “Visioni della crisi”, per le Edizioni Avatars. Collana Tabularasa, in cui l’autore pone in essere un serrato confronto tra la visione metafisica di Spengler e quella esistenzialista di Heidegger. Il testo, che si sviluppa nell’ambito di tre capitoli, non si limita ad una comparazione semplicistica di due differenti, anche se affini, prospettive filosofiche, ma ha sapientemente l’ardire di ricercare una soluzione alle questioni di merito poste dalle due teorizzazioni in riferimento.

Nello specifico, il primo capitolo è dedicato al pensiero spengleriano, non solo nella consueta analisi del tramonto della società occidentale, ma della stessa analizza la profondità liminale posta dall’esuberanza arbitraria della tecnica, quasi a precedere le future analisi di Junger e di Evola, quasi si determinasse una catarsi dell’azione sulla materia, sul suo controllo ed il suo modellamento. E’ la figura del Faust di Goethe che riemerge nelle analisi di Spengler riprese da Francesco Boco, in cui non la formalità della tecnica viene assunta, ma la capacità di riattivare un’intensità di impegno e quasi di milizia, che l’Uomo ha disimparato ad assumere dal ritmo della Natura:”Partendo da una posizione svantagiata rispetto alle altre specie animali, l’uomo riesce ad imporre il suo regno della Terra, la sua lotta è inesausta e la sua fame di dominio non ha posa” (p. 71)

Il secondo capitolo, quello dedicato al pensiero di Heidegger, permane nel dominio dell’analisi della catabasi, ma filosoficamente ne affronta le radici profonde del suo insorgere e le individua nella esplicitazione più radicale del nichilismo, quel vuoto che non pervade superficialmente i caratteri formali del vivere pubblico, ma intacca alla radice il rapporto dell’Uomo con se stesso, con la concezione desacralizzata di un destino che non viene più sentito nè tantomeno ricercato.  La dimensione di uno slancio volontaristico, infatti,  verso una dimensione che sia tanto alta, quale concezione superiore dell’Essere, quanto interna, quale vitalità microcosmica dello stesso Essere, non viene ricercata in quanto non la si percepisce, non la si “vede”, quindi non si avverte l’esigenza di un vivere diverso rispetto al conformismo amorfo che il nichilismo, anche di natura sociale, alla fine impone a tutti. Giustamente l’autore, in riferimento al testo heideggeriano “Essere e Tempo”, quale assunzione di consapevolezza di un “depotenziamento dello spirito”, indica come la prima reazione a tale declino possa e debba necessariamente essere la comprensione che tale declino ci sia, sia vero e pervadente e non costituisca solo un’espressione teoretica di un dato sistema filosofico:”Se dunque il nichilismo costituisce il compimento destinale della metafisica intesa come storia dell’Essere, l’Esserci deve coraggiosamentef farsi carico di questo destino e affrontare il tempo più angoscioso in cui l’Essere ne è nulla” (p. 138).

Nel confronto tra i due filosofi il nichilismo assume valenze diverse, perchè il riferimento in cui esso si esplicita è diverso. Se in Spengler il nichilismo rappresenta “lo spegnersi della spinta vitale e creativa dell’anima di una civiltà” (p. 164), in Heidegger il riferimento è inerente la “dimensione storica dell’uomo” (p. 174), quale riconoscimento dell’autenticità del proprio dato originario che la società moderna quasi impone e confina all’oblio.

Quale le conclusioni di Francesco Boco dinanzi alla comparazione di due diverse filosofie della crisi? Quale la risposta che si offre al lettore che giustamente si interroga sul “che fare?”, dopo aver assunto la giusta comprensione della dissoluzione? A nostro parere, l’autore fornisce una linea di condotta di assoluto buon senso e di estremo equilibrio. Come il ritorno al bosco indicato da Junger non rappresenta un invito a ritirarsi anacoreticamente a vita bucolica, spesso desacralizzata o formalmente ed enfaticamente intesa, nelle sue conclusioni l’autore assume quale prospettiva di esistenza attiva un pragmatismo spirituale, in cui le evidenze della tecnica e della scienza non vengono giustamente respinte. Tramite il riconoscimento ed il recupero dell’autenticità originaria è inevitabilmente attuabile la comprensione che il movimento interno di rinascita compie per l’anamnesi di una permanenza sacrale, connessa direttamente al disfacimento patogeno del presente Occidente. Forse le fasi indicate sono paragonabili alla sincronicità di sistole e diastole, secondo cui non vi sarà l’esaurimento del presente ciclo di umanità, prima che nella consapevolezza umana dell’Essere e dell’Esserci vi si imponga una mutata polarità di presenza e di azione.

Il testo di Francesco Boco è ordinabile tramite il blog di Polemos: http://polemos.eu/blog/

 

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