7 Ottobre 2024
Filosofia

Vuoi la verità? – Lorenzo Merlo

Presi da noi stessi ci sfuggono aspetti che produrrebbero un’altra storia.

 

Con uno sguardo d’insieme, che raccolga l’umanità tutta e la sua storia si possono osservare aspetti altrimenti, parrebbe, invisibili. Si può vedere come, in sostanza, tutti diciamo e facciamo le stesse cose, identiche nel cuore, differenti nella forma. Del resto i sentimenti che, alla fin fine si riducono ad attrazione e repulsione, e le emozioni, anch’esse in numero limitato, sono identici per tutti e concedono una gamma di comportamenti destinata a replicarsi costantemente indipendentemente dal contesto sociale, dalla cultura, dall’epoca. Infine, le circostanze, che sono una specie di mazziere, distribuiscono le carte, cioè i ruoli del limitato mazzo. Seduti al tavolo della storia non cessiamo di fare la nostra giocata che, a rotazione, accade a tutti, e quando avviene, tutti cercheremo di sfruttarla a mezzo di un usurato e imposto canovaccio ad essa relativo.

Circostanze permettendo, siamo tutti dunque santi e assassini. È la verità. Per vederla bisogna emanciparsi da quanto crediamo di essere e, nudi, riconoscersi identici a chi indossa panni diversi dai nostri. Un buon passo per esprimere una storia più simile alle nostre migliori intenzioni di convivenza, benessere e serenità.

Inconsapevoli dell’eterno ritorno dell’identico – cioè di quanto detto finora – ci dimeniamo nella tonnara che non vediamo, né sospettiamo, convinti di navigare nel mare aperto del libero arbitrio, ovvero della proprietà e dell’intelligenza di noi stessi, pensiamo di possedere il diritto all’autonomia e combattiamo per affermarlo. Non esitiamo ad aprirci la strada giudicando secondo la nostra morale e la nostra legge che è – ci mancherebbe – la migliore. Come dei, ci ergiamo così a titolari di primati oppure, al contrario, ci deprimiamo perché non riusciamo a mettere la testa fuori dal branco, in cui ci siamo venuti a trovare, governato da persone migliori di noi, ci diciamo. Tutto un incantesimo.

Ma, sebbene sfalsata nel tempo, l’uniformità dei nostri comportamenti è assoluta. Come a un qualunque gioco da tavolo o da campo, faremo mosse già scelte da altri prima di noi e altri, dopo di noi, non mancheranno di compierle. Se la storia insegna qualcosa, non è evitare di ripetere l’errore, ma l’opposto. Essa ci fornisce la garanzia che ciò che abbiamo vito lo rivedremo. Basterebbe svincolarsi dai lacci dogmatici del razionalismo, constatare le ragioni cognitive non godono di alcuna osmosi con quelle emozionali. Ma niente, non c’è niente da fare. Nonostante la presunta vista panoptica del razionalismo, che porta sempre il bastimento dell’umanità a scogli, nostromo e capitano, non vogliono mollare il timone della loro assurda direzione. Siamo sentimenti ed emozioni, non machine industriali, ma vaglielo a dire, ti rideranno in faccia.

Non ci avvediamo infatti che tutti i cosiddetti cambiamenti avvengono per un credito emozionalmente donato all’interlocutore, cioè che la moralità razionale, bene che vada, comporta accumulo di dati, ma non l’apertura utile per integrare in noi una prospettiva prima assente o rifiutata. Per cambiare rotta. La ressa della tonnara non sarà mai risolta con criteri razionali. Il dominio razionalista del nostro pensare e progettare è infrastruttura delle reti di cui siamo ignari prigionieri.

Blateriamo, affermiamo, declamiamo, promettiamo cambiamenti e veniamo regolarmente sconfessati. Ma nonostante l’evidenza di tanta buffoneria, procediamo spediti a petto in fuori. Eppure, raccogliere la contraddizione, sarebbe un buono spunto per rivedere cosa non va nel sistema, per mettersi a cercare una soluzione che comporti strumenti differenti da quelli che l’hanno generato.

Se così fosse, si potrebbe sostenere che all’origine sta una logica che gira intorno al perno dell’ego e dell’importanza personale. Una giostra che impone di vedere le differenze con il prossimo e non le identicità, che comporta la separazione, tra noi e loro, un territorio di pensiero che abortisce la cultura dell’ascolto.

La bolgia potrebbe concedere l’istante di quiete per prendere coscienza che non siamo che frammenti di una pioggia di coriandoli rutilanti e interdipendenti. Così pieni di noi stessi da non vedere l’implicita e necessaria parzialità di tutte le affermazioni, ognuna delle quali non è che una delle margherite che imbiancano il pascolo, che una foglia di una chioma. Ogni affermazione è colta dall’infinito che tutto contiene, per poi essere giocata sul banco della storia, come fosse il prodotto del nostro acume. Premessa che porta dritti a cercare potere, legale o illegale non fa differenza se non, come detto, per il cieco banco della storia di conflitto. Un grande campo di infinite identiche foglie.

 

 

lorenzo merlo ekarrrt – 180724

 

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