Schwaller de Lubicz nel suo minuzioso studio sul tempio di Luxor e sulla simbolica egizia si ferma a lungo a riflettere sull’imm
Si pone, Lubicz, all’interno di un’ampia e antichissima tradizione che vede nella mente conscia, involucro e sostegno dell’io discriminante, non uno strumento utile di conoscenza e di guida all’azione, ma un vincolo da cui liberarsi, un’illusione drammatica e pericolosa, un impedimento all’accesso a stati ontologicamente più elevati, un nemico ambiguo e mortale. Patanjali, nel primo dei sûtra in cui raccolse remoti insegnamenti, aveva già espresso nel modo più semplice il tema e l’obiettivo: lo yoga è l’arresto delle funzioni mentali. Nel IV sûtra spiega il problema e la sua origine: altrimenti (l’anima) assume la stessa forma delle funzioni mentali. La mente (citta, buddhi) è fonte e causa di nescienza, cioè dell’universale ignoranza innata che identificando l’attività della mente con quella dell’anima genera sempre nuova illusione, che a sua volta produce maculazione karmica, fonte della sofferenza che caratterizza la vita umana. Solo impedendone l’attività (cittavrtti) possiamo uscire da questo circolo perverso e salvarci dal dolore esistenziale. Molti secoli dopo, in tutt’altro contesto psicologico e culturale, san Giovanni della Croce diceva:
“in breve tutti i più grandi inganni del diavolo ed i maggiori mali che fa all’anima, penetrano attraverso le notizie e i discorsi della mente.
Un nemico forte e temibile o lo si imprigiona in ceppi indistruttibili o lo si uccide“.
Molti hanno preferito la prima via, come più sicura e meno rischiosa, anche se più lunga e graduale. Si vuole allora trasformare la consueta, inevitabile, ridda diabolica e stancante di pensieri involontari in una struttura limpida e ordinata, controllata da una volontà impeccabile. L’esempio più facile è il mandala, dove il cosmo, o meglio il fantasma chimerico che noi ci immaginiamo, pauroso caos psichico, informe e magmatico, si struttura secondo direzioni privilegiate, assume forme geometriche semplici e organizzate, e nei quadrati, nei cerchi, nei colori che si succedono secondo regole inflessibili, la mente è costretta a placarsi, congelata in una visione dominata dai legami che la figura le impone. Ricorda Tucci che
“disegnare un mandala non è cosa semplice; è un rito che mira a una palingenesi dell’individuo e ai cui particolari questo deve partecipare con tutta l’attenzione che l’importanza del risultato richiede: un errore, una svista o una dimenticanza rendono l’opera inefficace… perché ogni manchevolezza è il segno della disattenzione del sacrificante, indica che egli non vi prende parte con tutta la concentrazione e il raccoglimento dovuti“.
Ma per chi abbia compiuto rettamente il rito si apre la possibilità dell’esperienza folgorante di una luce interiore, gnosi liberatrice che la mente offuscava. Non diversamente operava il monaco ortodosso dipingendo l’icona che, insegna Florenskij:
“ha lo scopo di sollevare la coscienza al mondo spirituale, di mostrare “spettacoli misteriosi e soprannaturali”.
Ben poco o nulla è lasciato alla libera creatività dell’artista. Diceva il Settimo Concilio Ecumenico:
“al pittore spetta soltanto l’aspetto tecnico dell’opera, ma tutto il suo ordinamento (diátaxis) chiaramente dipese dai santi Padri“.
Gli insegnamenti cinesi sono meno rigidi, più dolci, soffusi di immagini poetiche. Spiega Schipper che l’adepto dovrà costruire mentalmente il proprio corpo come fosse un paese, fondato sulla geografia sacra taoista, e abitato da tutti i suoi dei: la testa sarà una catena di montagne che racchiude un lago, in mezzo al lago un palazzo, e così via, giù giù, sino a sotto l’ombelico dove vedrà un paesaggio meraviglioso, il Campo di Cinabro, la dimora dell’embrione che darà origine al nuovo corpo immortale. I maestri del neidan, la cosiddetta “alchimia interiore”, seguono secondo la Robinet simili metodi, ma qui la mente deve riprodurre immagini di operazioni che l’alchimista compie in pratica al forno, sempre come avvenissero nel proprio corpo. Nel Libro dell’Armonia Centrale, Li Daochun spiega:
“Non c’è altro principio: basta dominare il corpo e la mente [lett. il cuore], è cuocere il Piombo e purificare il Mercurio. Gli appellativi diversi si riducono [a significare] che si dominano le pulsioni con la natura profonda ed è tutto. Quando la natura è quieta e le pulsioni sono seppellite, si vede luminosamente il fondamento, si abbraccia la Radice e si ritorna al Vuoto… È ciò che si chiama il compimento del Cinabro e, per metafora, l’embrione della liberazione“.
Più suggestivi i Versetti del Risveglio della Verità di Zhang Boduan, che iniziano da una famosa citazione del Daodejing:
“Vuotare la mente e riempire il ventre” ha un senso molto profondo
ma per vuotare la mente, occorre una mente che discerne,
e niente vale più, per sublimare il Piombo, che riempire prima il ventre,
e apprendere a conservare la Sala piena d’oro“.
Figure di illuminati dalla pancia obesa, seduti in stato di calma fissità, rappresenteranno all’iniziato chi abbia realizzato il precetto. Anche Sant’Ignazio di Loyola insegnava a costruire mondi e luoghi per i suoi Esercizi Spirituali, che dovevano servire a conseguire il fine per cui l’uomo è stato creato, lodare, riverire e servire Dio nostro Signore e salvare, in questo mondo, la propria anima. Nella premessa al primo esercizio prescrive:
“Il primo preambolo consiste nella composizione visiva del luogo. Qui è da notare che nella contemplazione o meditazione visiva… la composizione consisterà nel vedere con la vista dell’immaginazione il luogo materiale dove sta la cosa che voglio contemplare…“.
Il suggerimento è piuttosto libero, si precisa meglio nel quinto esercizio dove la composizione consiste nel vedere con la vista dell’immaginazione la lunghezza, l’ampiezza e la profondità dell’inferno. Fondamento resta comunque la preghiera e il santo, che non ignorava i benefici e utili effetti del respiro guidato, ben noti agli orientali che li codificarono minuziosamente, insegnava:
“il terzo modo di pregare consiste nel fatto che ad ogni respirazione o movimento respiratorio si deve pregare mentalmente pronunciando una parola del Padre Nostro o di qualche altra preghiera che si recita in modo tale che una singola parola venga detta tra un respiro e l’altro. Mentre poi dura il tempo tra un respiro e l’altro, si badi principalmente al significato di tale parola, o alla persona cui si rivolge la preghiera“.
Sant’Ignazio conosceva bene i rischi del controllo mentale che sfugge facilmente all’obiettivo di pura illuminazione, o di spiritualità devota, gonfiando l’uomo di presuntuoso e illusorio senso di potenza, per cui invece di allontanarne gli inganni del mondo lo seduce con i fantasmi della maya allucinante. Nel “Direttorio autografo” scrive:
“È da avvertire che se uno non obbedisce a colui che propone gli esercizi e volesse procedere a suo criterio, non conviene proseguire nel dargli gli esercizi“.
Proseguì a suo criterio Giordano Bruno, per troppa superbia o sciagurata sfortuna. Fingendo di praticare una tecnica mnemonica voleva fissare la mente ad accogliere immagini di demoni e altri segni celesti, convinto di ottenerne influenza sul mondo e sui fenomeni naturali. Il domenicano più che nell’eresia era immerso in un’allucinazione perversa, incubo di assurde quanto insensate fantasie. Pensava che il Cielo con tutti i suoi influssi si ripetesse nella mente umana, e che riordinandola e fissandola secondo nuove aspirazioni si potesse attrarre l’influsso astrale da utilizzare magicamente. Scrisse nello “Spaccio della Bestia Trionfante”:
“Disponiamoci prima nel cielo che intellettualmente è dentro di noi: e poi in questo sensibile che corporalmente si presenta agli occhi… se cossi renderemo nouo il nostro cielo, noue saranno le costellationi, et influssi, noue l’impressioni, noue fortune, perche da questo mondo superiore pende il tutto…“.
Nel “De Umbrisidearum” aggiunge:
“C’è nella tua primordiale natura un caos di elementi e numeri, che non esclude peraltro l’ordine e la serie… Io ti dico che se tu contempli tutto questo con attenzione, tu potrai conseguire un’arte figurativa tale che rafforzerà non solo la memoria, ma anche i poteri dell’anima, in modo mirabile“.
Per analoga superstizione il tantrico costruirà accuratamente lo yantra della divinità prescelta, perché questa scenda e si manifesti disposta ai suoi ordini. La presenza divina sarà assicurata grazie a formule appropriate – che anche Bruno approvava – mantra accompagnati da gesti opportuni (mudra, sigilli). A un livello superiore ci si servirà solo di lettere o sillabe. Spiega Tucci:
“la sillaba, il fonema è la segreta essenza o il “seme” della divinità. Essa è così intimamente legata a questa che basta su di lei concentrarsi perché l’immagine sia evocata“.
Si apre qui una visione in cui uno schema alfabetico riproduce quello cosmico, che da tre lettere dipana tutto il suo divenire. Insegna Abhinavagupta nel “Tantrasâra” che
“tre sono le potenze principali del Signore, ossia l’Altissima, la Volontà e l’Espansione. E queste sono le tre cogitazioni a, i, u. Tutto il successivo spiegarsi delle potenze deriva da questa triade soltanto“.
Schemi analoghi ritroviamo nella Kabbalah, dove le strutture geometriche delle sefiroth inducono a riflettere sumodelli simili a certi yantra. Qui alef,mem, šin saranno le tre lettere madri che presiedono alla formazione del mondo, e nel gioco dei pentacoli magici i signori del Nome (ba‘aleŠem)si convinceranno di essere operatori di incredibili prodigi. Ne resteranno tracce sbrindellate negli occultisti ottocenteschi, specialmente di scuola francese. Non cercava prodigi né potere Abraham Abulafia nella “Hokmath ha Tseruf”, la scienza della combinazione delle lettere. Il suo scopo, come spiega Scholem, era quello di liberare l’anima dai nodi che la legano per raggiungere la devekuth, la perfetta unione col divino. A trentun’anni aveva vissuto un momento spontaneo di estasi, da cui aveva tratto conoscenze e visioni e la convinzione che l’oggetto perfetto su cui meditare per riconquistare quello stato beato fosse l’alfabeto ebraico. Ci ha lasciato delle istruzioni per le preparazioni necessarie alla meditazione e all’estasi: Renditi pronto a dirigere il tuo cuore su Dio solo: Purifica il tuo corpo e scegli una casa solitaria dove nessuno senta la tua voce. Siediti nella tua celletta e non rivelare il tuo segreto a nessuno. Se puoi fai questo di giorno nella tua casa, ma è meglio se lo compi di notte. Nel momento in cui ti prepari a parlare al Creatore e se desideri che egli ti riveli la sua potenza, abbi cura di astrarre tutta la tua mente dalle vanità del mondo… Ora comincia a combinare qualche lettera o molte, a spostarle e a combinarle sino a che il tuo cuore sia caldo… E quando senti che il tuo cuore è già caldo… quando sei così preparato a ricevere l’influenza della potenza divina che penetra in te, usa tutta la profondità del tuo pensiero a immaginare nel tuo cuore il Nome e i suoi Angeli superiori, come se fossero degli esseri umani seduti o che stanno vicino a te… [E infine] tutto il tuo cuore sarà preso da un tremore estremamente violento, al punto che penserai che stai per morire, perché la tua anima, rapita per la conoscenza che ha, abbandona il tuo corpo…Ricorda un brano famoso di Zosimo di Panopoli, che nel primo libro del “Conto finale” insegna a un’allieva:
“Tu dunque non lasciarti sedurre, donna,… Non ti mettere a divagare cercando Dio, ma resta seduta presso il tuo focolare [oíkade] e Dio verrà da te, lui che è dovunque… Riposa il tuo corpo, calma le tue passioni, resisti al desiderio, al piacere, alla collera, all’afflizione e alle dodici fatalità della morte. E conducendoti così, chiamerai a te l’essere divino, o l’essere divino verrà a te, lui che è dovunque e da nessun parte“.
È la seconda via, che Scholem chiama profetica in alternativa all’altra che definisce teosofica. Questa non mira alla costruzione di una mente controllata ma vuole, rotto o eliminato il meccanismo psichico, raggiungere l’illuminazione estatica il più direttamente possibile. L’esempio più noto in Occidente risale a Plotino che nella sesta Enneade ci dice che
“… dobbiamo con uno slancio balzare su verso i primi valori, dopo aver svincolato il nostro io dalle cose sensibili… L’anima deve restarsene nuda di forme, se intende davvero che nulla si insedi lì a far da impaccio alla piena inondante ed alla folgorazione che si riversa su di lei da parte della Natura primordiale… essa deve staccarsi da tutte le cose esteriori, volgersi verso la sua intimità, completamente, non inclinarsi verso qualcosa di esterno, ma estinguendo ogni conoscenza… spegnendo altresì la conoscenza del proprio essere, l’uomo deve immergersi nella contemplazione di Lui… Lassù è il verace oggetto d’amore, cui è dato congiungersi davvero“.
Racconta Porfirio che quattro volte riuscì il suo maestro a raggiungere questa beata unione, lui una sola, in sessantotto anni. Un evento raro, che si mantiene a lungo con difficoltà. Anche San Bernardo se ne lagna con discrezione descrivendo l’unione soavissima, quando fa dire alla sua anima: introduxit me Rex in cubiculumsuum. E spiega:
“Là, per poco tempo, cioè circa una mezz’ora, fattosi silenzio in cielo, essa [l’anima] riposa dolcemente negli abbracci desiderati: senza dubbio dorme, ma il suo cuore veglia“.
Il santo definì questa esperienza excessus mentis, che fa superare il pensiero, abductiointeriorissensus. Tertulliano per primo la chiamò “estasi” (extasis) e la interpretò correttamente come amentia, cioèassenza di mente. Qui gli esempi si possono moltiplicare e dei mistici d’Occidente Zolla ha raccolto una ricca collezione in molti volumi. Serve, come tutti dicono, una forte partecipazione emotiva a chi cerchi l’interruzione mentale improvvisa. Oltre a ciò si sono provate infinite tecniche, dalla danza frenetica degli sciamani, all’assunzione di droghe e bevande inebrianti, che ancora Zolla descrive nel “Dio dell’ebbrezza”. Per il cristianesimo orientale il monaco Niceforo, maestro di Gregorio Palamas, inventò, o più probabilmente codificò, l’orazione pura, katharáproseuché, e la definì apóthesisnoemáton, eliminazione dei pensieri. Si riferisce nei “Racconti di un pellegrino al suo confessore” che un contadino russo incontrò uno starets che gli insegnò l’esicasmo. Doveva ripetere nella sua mente Signore Gesù Cristo, abbiate pietà di me, prima 3000, poi 6000, poi 12000 volte al giorno, infine a volontà. Ne sarebbero venuti meravigliosi effetti.
Nella mente: si sente la dolcezza dell’amore di Dio, la pace interiore, l’estasi dello spirito, la purezza dei pensieri, una beatificante attenzione a Dio; nella sensibilità: un gradevole calore del cuore, tutte le membra colme di dolcezza, gioiose palpitazioni del cuore, leggerezza e frescura; la vita si fa sentire gradevole, si diventa insensibili alle malattie e all’afflizione; rivelazioni infine: illuminazione dell’intelligenza, penetrazione delle Scritture: si comprende lo Spirito della creazione, si è distaccati dal tumulto terrestre, si riconosce la dolcezza della vita interiore, si è sicuri della prossimità di Dio e anche del suo amore per noi. Fa eccezione la scuola Mâdhyamika. Con Nâgârjuna dimostrò che manca qualunque sensatezza al pensiero umano, spezzando così d’improvviso il meccanismo mentale non appena se ne percepisca appieno la totale vacuità. Unita al taoismo generò il ch’an cinese, da cui lo zen giapponese, e infiniti tesori d’arte e cultura, come questo piccolo gioiello del poeta Tung-shang:
“Neve copiosa in tazze d’argento,aironi celati dalla luna splendente,cose dissimili nell’affine,la confusione è il luogo della conoscenza“.
So bene, in questo breve excursus, di avere trascurato innumerevoli documenti. Cito, ad esempio notevole, la tradizione sufi e la pratica del dhikr, o le riflessioni alfabetiche di Jâbir e degli isma’iliti. Altre considerazioni si potrebbero fare, per esempio su certe tradizioni iniziatiche, non ultima quella del R.S.A.A. che sembra una felice unione delle due vie descritte. Da un lato, con cerimonie appropriate nel Tempio massonico, induce la mente a ordinarsi secondo simbologie precise, a mettersi all’ordine, in accordo col suo motto Ordo ab Chao. Dall’altra, con rituali di passaggio, provoca le forti emozioni che possono permettere illuminazioni improvvise, riecheggiando l’antica richiesta del vate upanishadico: tamasomâjyotirgamaya, fammi passare dalla tenebra alla luce.
Resta, a conclusione, il fatto che nei millenni alcuni uomini abbiano vissuto esperienze psichiche estremamente simili e gratificanti, riconducibili a una modifica o a un arresto delle funzioni mentali, alla loro fissazione. In alcuni si sono manifestate in modo spontaneo, mentre altri le hanno deliberatamente cercate, e talvolta ottenute, grazie a tecniche e pratiche peculiari e insolite. Si è sempre trattato di un evento eccezionale, riservato a un numero piuttosto limitato di esseri umani. Chi ha vissuto questa esperienza la definisce quasi sempre in termini religiosi, come incontro col divino, col sacro, con un dio particolare, con l’assoluto, a seconda della sua cultura e delle sue convinzioni, e descrive sensazioni di luce, calore, senso di piacere estremamente intenso, percezioni cardiache, comprensione ampliata, visione splendida. Ne è sempre uscito trasformato nell’esistenza, talvolta in senso negativo, con oscuro senso di potere o egocentrismo esasperato, a volte invece in modo che potremmo definire positivo, colmo di sentimenti sereni, compassionevoli, moralmente forti, anche se non sempre integrabili nella società in cui viveva. Quest’uomo è stato spesso fonte di profondi sconvolgimenti sociali, politici e culturali, dato che per lo più ha sentito l’urgenza immediata di predicare il messaggio raccolto nel nuovo mondo appena penetrato. Dunque un fenomeno importante della nostra struttura mentale, e quindi del nostro sistema cerebrale, che andrebbe studiato in tutte le sue forme, peraltro piuttosto costanti come si è potuto verificare già da questi pochi esempi.
Credo che più che agli storici delle religioni, o agli psicologi o peggio ancora ai cosiddetti esoteristi, spetti alle moderne neuroscienze indagarlo, con scrupolo e attenzione data la sua manifesta potenza e il fascino che ha sempre esercitato. Qualcosa si è già fatto, molto negli ultimi due decenni, da quando sono possibili indagini non invasive del cervello umano e si è cominciata l’esplorazione delle reazioni elettrochimiche coinvolte nelle sue funzioni. Al momento, ma siamo, mi pare, in una fase estremamente preliminare, secondo alcuni scienziati, cito qui Casale e Ramachandran, parrebbe che questo evento sia legato a certi comportamenti del sistema limbico, più correttamente del circuito di Papez, e ai suoi rapporti con i lobi temporali e col sistema neurovegetativo, quindi a una delle parti più arcaiche dell’encefalo. Dunque qualcosa che risale agli albori stessi dell’essere umano.
Una prima domanda, ovvia, che ci si è posti, è quale sia, o sia stata, la sua utilità nel contesto dell’evoluzione. Alcuni (Matthew Alper, Scott Atran) suggeriscono che questo meccanismo sia servito a sopportare la consapevolezza umana della mortalità, l’ansia esistenziale. È una risposta, un po’ stravagante. Personalmente preferisco quella di Rhawn Joseph, che sostiene che potremmo trovarci di fronte al segnale di un futuro ulteriore salto evolutivo dell’uomo verso più ampie capacità neurologiche e funzionali, capacità il cui potenziale genetico è al momento ancora silente. Comunque questi primi studi di cosiddetta neuroteologia ci indicano la strada da percorrere, una strada senza pregiudizi, ma anche, e specialmente, senza timore di affrontare un’area dell’avventura umana che è sempre stata circonfusa da un alone di rispetto reverenziale. Forse è finalmente giunto il momento di applicare seriamente, in modo severo e inflessibile, il precetto dato più di due millenni fa all’uomo: conosci te stesso.Il risultato potrebbe liberarci da molti problemi che al momento paiono insolubili.
Bibliografia essenziale dei testi citati:
• R.A.Schwaller de Lubicz, Il Tempio dell’uomo. Roma, 2000.
• Patanjali, Gli aforismi sullo Yoga (Yogasûtra). Torino, 1968
• AA.VV.,Satana. Etudes carmélitaines.Milano, 1954.
• Giuseppe Tucci, Teoria e pratica del mandala. Roma, 1969.
• Pavel Fliorenskij, Le porte regali. Milano 1999.
• Stefano Piano, Enciclopedia dello Yoga. Torino, 1996.
• Kristopher Schipper, The taoist body.Berkeley, 1993.
• Isabelle Robinet. Les commentaires du Tao To King jusqu’auVIIe siècle.Mayenne, 1981.
• Isabelle Robinet, Introduction à l’alchimieintérieuretaoïste. De l’unité à la multiplicité. Paris, 1995.
• A taoist classic. The book of Laozi.Beijing, 1993.
• Ignazio di Loyola, Gli scritti. Torino, 1977.
• Giordano Bruno, Spaccio de la bestia trionfante. Napoli, 1994.
• Frances A. Yates, L’arte della memoria. Torino, 1966.
• MadhuKhanna, Yantra. Il simbolo tantrico dell’unità cosmica. Roma, 2002.
• Abhinavagupta, Essenza dei tantra (Tantrasâra). Torino, 1960.
• G. Busi ed E. Loewenthal (a cura di), Mistica Ebraica. Testi della tradizione segreta del giudaismo dal III al XVIII secolo. Torino 1995.
• Gershom G. Scholem, Les grands courants de la mystique juive.Paris, 1977.
• Berthelot – Ruelle, Collection des AnciensAlchimistesGrecs. Paris, 1887.
• Elémire Zolla, I mistici d’Occidente. Milano, 1980.
• Plotino, Enneadi. Bari, 1973.
• Etienne Gilson, La théologiemystique de Saint Bernard. Paris, 1976.
• Elémire Zolla, Il Dio dell’ebbrezza. Torino, 1998.
• IrénéeHauscherr S.I., Hésychasme et prière. Roma, 1966.
• Fung Yu-lan, A history of chinese philosophy. Princeton, 1983.
• Nâgârjuna, Le stanze del cammino di mezzo (Madhyamikakârikâ). Torino, 1979.
• Leonardo Arena, Storia del Buddhismo Ch’an. Milano, 1999.
• Roberto Casale, Studio della interazione tra neurovegetativo e sistema limbico: un approccio neurofisiologico all’anima?. Pavia, 1998.
• Ramachandran V.S., The emerging brain. London, 2003.
• Matthew Alper, The “God” part of the brain. New York, 2001
• Scott Atran, The Neuropsychology of Religion, in NeuroTheology, University Press, San Jose California, 2003
• Rhawn Joseph, Mythologies of Modern Science, in NeuroTheology, op. cit.
Paolo Lucarelli
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