Note immortali che si sostanziano dall’invisibile emergono dall’ombra, come lame di luce che trafiggono il buio. Toni divini e gravi che crescono e decrescono con struggente poesia e forza prorompente, maschia, epica. Penetrano dentro e scavano lasciando una traccia indelebile, stregando il cuore e la mente, trascinando in alto, verso regioni sconosciute, mondi paralleli. E inducono alla marzialità. Energia, magiche vibrazioni, sogno primordiale, incantamento di regni sfiorati, lontani, impalpabili. La musica degli Dèi che rigenera ogni cellula, ogni parte dell’essere e con ermetica ispirazione induce a stati alterati, a esperienze senza tempo che riportano alla fonte primeva, alla Magia del fare, l’immaginazione esaltata nel sacro attraverso una melodia celestiale.
Opere che travalicano l’umano e trasudano archetipi imperituri, miti resi manifesti con sapiente maestria, l’ingegno ermetico guidato da una forza ignota, il Nume segreto, il Genio affabulatore. Siegfried (Sigfrido), Der Ring des Nibelungen (L’anello dei Nibelunghi), Die Walkure (La Valchiria), Gotterdammerung (Il crepuscolo degli Dèi), Der fliegende Hollander (Il vascello fantasma o L’olandese volante), Parsifal. Questi sono solo alcuni dei parti radiosi, eternati per sempre nel paradiso dei Numi, scaturiti dalla mente iniziatica ed eterna di un uomo fuori da comune, Richard Willhelm Wagner (Lipsia 1813-Venezia 1883), compositore, scrittore e drammaturgo tedesco: il Vate degli Dèi.
veduto le cose segrete” (Papiro di Nu, canto 116-secolo XV a.C.). Quando l’anziano cavaliere chiede a Parsifal il suo nome, questi replica, quasi recitando una formula: “Molti ne ebbi / ma non ne so più alcuno”. Nel comporre il Parsifal Wagner aveva letto attentamente l’opera di Wolfram von Eschenbach, in cui il Graal veniva descritto come una pietra preziosa. Il grande musicista, invece, propende per una coppa di cristallo, ma i riferimenti simbolici al gioiello menzionato da Eschenbach sono palesi. Assieme a tale ricerca va segnalata – cosa che spesso nei libri dedicati a Wagner viene omessa – la profonda corresponsione con il suo mecenate, l’uomo con cui condivideva un sogno, colui che lo aveva reso realmente immortale: Ludwig II, Re di Baviera (1845-1886), autentico iniziato ai Veri, personaggio che agiva fuori dagli schemi precostituiti e vedeva oltre. Per questa ragione fu eliminato, assassinato in circostanze misteriose. La sua visione ermetica non rientrava nel contesto sociale del suo tempo, risultava scomoda e così venne tolto di mezzo. Tornando alla concezione del Graal e alle sue valenze associate a una pietra, è interessante sapere che tra i Catari di Montsègur, l’emblema che simboleggiava il desiderio del Paradiso e lo Spirito Divino era uno smeraldo. E’ noto che tale pietra era detta Mani e la cerimonia dai contorni misterici che la riguardava veniva denominata manisola. Lo smeraldo è anche il simbolo del lapis celeste che si era distaccato dalla corona di Lucifero, o Lapsit exillis (allusione al Graal e alle sue implicazioni alchimiche). Nel 1872 Wagner si trasferì a Bayreuth dove, con l’aiuto finanziario di Ludwig II di Baviera, inaugurò il teatro consacrato alla rappresentazione delle sue opere. Il Vate degli Dèi morì stroncato da un infarto nel febbraio del 1883, a Venezia, città dai contorni misteriosi e magici. Già nella sua prima composizione, le Fate, si scorgono assonanze con gli ignoti territori dell’invisibile, segno distintivo di una predestinazione che è riservata ai grandi animi, solo a coloro che hanno trasceso l’umano incamminandosi nei lidi inviolati degli Dèi.
(Ringraziamo per la collaborazione il sito www.giulianokremmerz.com , le Edizioni Rebis di Viareggio e la rivista Elixir, oltre che l’autore del saggio)