di Mario M. Merlino
Cesare mi guarda scuote la testa sorride. Non si adatta a vedermi con i capelli lunghi e arruffati, una barbetta ispida e rada e, poi, quegli orribili pantaloni a grandi righe marroni e gialle, riportati dall’Olanda dei provos, delle biciclette lungo i canali e di piazza Rembrandt dominata da beats e ragazze in minigonna. Ne faccio sfoggio, unico, lungo i bordi della fontana al centro del piazzale della Minerva, vanitoso come uno stupido pavone. E’ una giornata di aprile, di quelle che Roma regala con il cielo terso e il tepore che, diceva Ezra Pound, insieme ad un ardito pensiero di Platone, allerta i sensi e, non si discute, è poesia.
‘Se ti tagli i capelli, ti metti giacca cravatta e un paio di pantaloni decenti ti porto con me in Grecia, dai colonnelli…’. In cambio gli presto il giubbetto di renna che, me consenziente, finisce per divenire parte del guardaroba da studente calabrese fuori sede. Beh, non è una cattiva idea andare a vedere con i propri occhi, a un anno dal colpo di stato dell’aprile ’67, cosa fanno dicono vogliono i militari. E, poi, diciamola tutta, magari ci propongono un sano e proficuo utile addestramento da rivendersi al ritorno, in clima di scontro annunciato. Qualcuno sui muri di Roma ha vergato un ‘Vogliamo i colonnelli!’ anticipando il titolo del film di Monicelli…
A quali compromessi bisogna sottostare in nome della rivoluzione, penso, mentre il barbiere ignaro e impietoso affastella ciuffi di capelli… E mia madre a stirarmi i pantaloni di velluto intonati alla giacca (e alla cravatta di mio padre)… Mi guardo allo specchio e non mi riconosco, anzi, dentro di me avverto un sottile e robusto senso di vergogna. Sarà l’ultima volta che mi vedo le orecchie prima di, quarant’anni dopo, decidermi per il codino…
Si parte su due pullman, uno di studenti greci di ritorno per le vacanze di Pasqua e nell’altro rappresentanti di vari gruppi della destra radicale – e, in duplice veste, qualche spione di troppo (durante la prima fase, subito dopo il 12 dicembre, delle indagini il giudice istruttore mi mostrò l’elenco dei partecipanti al viaggio per sapere quanti conoscessi e come!).
Le nostre speranze vennero frustrate miseramente, l’ospitalità si ridusse ad alloggio in branda senza vitto, ad un pranzo dentro una caserma aperta al pubblico e sbattendo uova sode colorate, come da tradizione, e la fugace apparizione del colonnello dei carristi Patakos, la deposizione frettolosa della corona di fiori al Milite Ignoto in piazza Syntagma, strattonati da agenti in borghese poco inclini ad accettare braccia tese e il ‘Presente!’. Armi esplosivi passo del leopardo il pugnale fra i denti esercitazione di lotta corpo a corpo rimandati ad altra occasione mai più verificatasi… Un insegnamento, però, ne ho ricavato: l’ordine dei militari è la disciplina da caserma, non lo stato organico. E, con il tempo, mi sono spinto più avanti. La Grecia, che ci ha insegnato a pensare l’Essere tramite quel vegliardo ‘venerando e terribile’ di Parmenide mi ha imposto vivere il Nulla, quel Fascismo libertario irriverente e dissacrante…
Mi torna in mente quel viaggio nella primavera del ’68, quando Oriente e Occidente scaldavano i muscoli – veri o fittizi scenari di un ipotetico stato di permanente conflitto nonostante o contro o in funzione di quegli accordi di Yalta che imposero una cappa mefitica sull’Europa; la contestazione giovanile che si preparava a trasformarsi, ad esempio in Italia, in diffuso terrorismo con accompagno di stragi e di ragazzi ammazzati per strada; il mito del Che, il generale Giap a mettere in ridicolo la potenza militare USA, soldati sovietici e della Cina popolare a spararsi lungo il fiume Amur nella sperduta Siberia; la primavera di Praga oltraggiata dai carri armati del Patto di Varsavia e nella sostanziale indifferenza dell’opulento Occidente, nell’agosto di quel medesimo anno (e Riccardo ed io, il mattino seguente, in piazza San Venceslao); e quanto ed altro ancora…
Mi torna a mente la modesta sede del IV Agosto, l’unico raggruppamento politico tollerato dai colonnelli, alla periferia di Atene, i cui militanti nel film di Costa Gavras, Z – l’orgia del potere, vengono indicati come mazzieri violenti ed assassini al soldo dei futuri autori del golpe. Sconfortante il risultato, se volevano incarnare l’anima politica, i valori ideali, un progetto organico e nazionale… Mi torna a mente in questi giorni mentre l’asfalto della capitale greca si colora del sangue dei due giovani militanti di Alba (più correttamente la traduzione dovrebbe essere Aurora) Dorata. E tutto l’apparato politico-mediatico che si scatena a buttar fango e caos… Una nuova stagione d’infamia s’appresta a ricadere su quelle forze, con tutti i loro limiti ed errori, che furono dopo il 1969 ed oggi in prima linea nel tentativo di proporre una alternativa, allora alla logica dei due blocchi ed oggi al potere finanziario internazionale? Che, a ben guardare, sono tappe di quell’eterna guerra del sangue contro l’oro… Ecco perché, pur ormai estraneo alla contesa della piazza, sono certo che a Yorgos e Manolis si debba rivolgere il nostro ‘Presente!’…
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