_in_The_Holy_Science.pdf. La concezione di una risalita progressiva dall’ultima alla prima età è viceversa presente nella tradizione giainista: “Le terre d’azione sono soggette a un ciclo temporale diviso in due fasi, discendente e ascendente, ciascuna a sua volta divisa in sei ere di durata variabile. La prima era della fase discendente dura 4×1014 eoni (sāgaropama); la durata delle ere successive diminuisce sino ai 21.000 anni dell’ultima fase. La durata massima della vita umana scema in proporzione, assieme con il livello di moralità e prosperità degli esseri; nella fase ascendente le ere si ripetono in ordine invertito. I tīrthaṃkara, i salvatori, appaiono sulle terre d’azione in numero di 24 per ogni fase.” (http://www.treccani.it/enciclopedia/asia-india-americhe-la-scienza-indiana-la-cosmologia_(Storia_della_Scienza)/); “Il jainismo, come tutti gli altri sistemi religiosi indiani, concepisce il tempo come ciclico. Il suo movimento, paragonato a quello di una ruota, è diviso in kalpa, periodi di lunghissima durata che si ripetono indefinitamente. Ogni giro si divide in due fasi inversamente simmetriche, l’una discendente, l’altra ascendente, con una suddivisione in 6 stadi che scandiscono la discesa da ere di grandissima e poi grande prosperità fino allo stato di miseria e poi di grandissima miseria, e l’ascensione inversa dalla grandissima infelicità alla grandissima beatitudine. Nel corso di ciascuna delle due fasi vivono 24 Tīrthaṃkara, insieme a tutto un corteggio di grandi personaggi che ricordano il repertorio leggendario brahmanico. I più antichi sono colossali, i più recenti hanno dimensioni più umane: le rappresentazioni plastiche mostrano fino a qual punto essi abbiano tratti stereotipati. Ci troviamo attualmente nel quinto stadio – di miseria – di una fase discendente. Alla fine del terzo stadio è nato Ṛṣabha, ‘il primo Signore’ (Ādinātha), che è all’origine della civilizzazione dell’umanità. Nel quarto sono vissuti gli altri 23 profeti, tra cui Pārśva (che è rappresentato con la testa sormontata dal settuplo cappuccio di un cobra) e Vardhamāna Mahāvīra, il cui nirvāṇa avrebbe avuto luogo 75 anni e 8 mesi e mezzo prima dell’inizio del quinto stadio.”(http://www.treccani.it/enciclopedia/jainismo_(Enciclopedia_delle_Scienze_Sociali)/); “Secondo il credo giainista, l’universo non venne mai creato, né cesserà mai di esistere. È eterno ma non immodificabile, poiché passa attraverso una serie infinita di alternanze o oscillazioni. Ognuna di queste oscillazioni verso il basso o verso l’alto viene divisa in sei epoche del mondo (yugas). L’epoca attuale è la quinta di una di queste ‘oscillazioni’, che è un movimento verso il basso. Queste epoche o ‘oscillazioni’ sono note come ‘AARO’ ovvero ‘Pehelo Aaro’ o Prima Epoca, ‘Beejo Aaro’ o Seconda Epoca, e così via. L’ultima è la ‘Chhatho Aaro’ o Sesta Epoca. Tutte queste epoche hanno una durata fissa di migliaia di anni. Quando questa raggiungerà il suo punto più basso, anche il giainismo stesso verrà perso nella sua interezza. Quindi, nel corso della prossima oscillazione verso l’alto, la religione giainista verrà riscoperta e reintrodotta da nuovi capi chiamati Tirthankaras (letteralmente ‘creatori di passaggi’ o ‘cercatori di guadi’), solo per essere persa nuovamente alla fine della prossima oscillazione verso il basso, e così via. In ognuna di queste alternanze temporali incredibilmente lunghe, ci sono sempre ventiquattro Tirthankara. Nell’epoca attuale, il ventitreesimo Tirthankar fu Parshva, un asceta e insegnante, le cui date tradizionali di nascita e morte sono 877–777 a.C., ovvero 250 anni prima della morte dell’ultimo Tirthankar, Mahavira nel 527 a.C. I giainisti lo considerano, come tutti gli altri Tirthankar, come un riformatore che invocò un ritorno a credenze e pratiche in linea con la filosofia eterna e universale sulla quale si dice sia basata la fede. Il ventiquattresimo e ultimo Tirthankar di questa epoca è noto con il titolo di Mahāvīr, il Grande Eroe (599–527 a.C.). Anch’egli fu un insegnante asceta vagabondo che tentò di richiamare i giainiti alla pratica rigorosa della loro antica fede. (…) S. Vernon McCasland, Grace E. Cairns e David C. Yu descrivono la cosmologia giainista nel seguente modo: ‘Nella tradizione giainista, il primo insegnante della religione, Rishabha, visse nel terzo periodo di Avasarpini, durante il quale metà delle cose del ciclo del mondo stanno peggiorando. Dal momento in cui si iniziò a trovare il male, si sentì la necessità di un insegnante chiamato un Tirthankara perché le persone potessero far fronte ai problemi della vita. Nel quarto periodo, i mali proliferarono così tanto che altri ventitré Tirthankara arrivarono al mondo per insegnare alle persone come combattere il male e raggiungere il mokṣa. L’età contemporanea, parte del quinto periodo, è ‘interamente malvagia’. Ora, gli uomini non vivono più di 125 anni, ma la sesta epoca sarà persino peggiore. ‘La durata della vita dell’uomo sarà solo tra i sedici e i venti anni e la sua altezza sarà ridotta a quella di un nano. . . . Ma poi il lento movimento verso l’alto della seconda metà del ciclo del mondo, Utsarpini, comincerà. Ci sarà un pronto miglioramento finché, nella sesta era, i bisogni dell’uomo saranno soddisfatti da alberi desiderosi, e l’altezza dell’uomo sarà di sei miglia, e il male sarà per sempre sconosciuto.’ Comunque, alla fine le cose degenereranno nuovamente, con una ripetizione di Avasarpini; Usarpini ritornerà ancora una volta, in un ciclo eterno, secondo la cosmologia giainista.’ (McCasland, Cairns, and Yu, Religions of the World, New York: Random House, 1969: pages 485-486)” (http://it.wikipedia.org/wiki/Giainismo).
vamente la lettura di questa pagina, molto interessante anche in relazione all’astronomia-astrologia, e dalla quale si comprende come tanto nell’infinitesimo respiro del giorno, quanto nell’arco smisurato delle ere per gli antichi Maestri indiani il principio da cui ogni pulsazione temporale scaturisce sia sempre il moto degli astri, risieda in cielo. Una stringata, ma pregnante sintesi delle medesime conoscenze e concezioni la si può ritrovare in http://www.hknet.org.nz/cycleOages.html. Cfr. anche, a proposito del Kâla, il tempo eterno, cosmico, http://www.srimadbhagavatam.org/glossary/k.html#K%20a%20l%20a.
(10) “I nomi delle ere cosmiche derivano dall’antico gioco dei dadi, portato probabilmente dagli arii in India ed estremamente popolare (tanto che gli è addirittura dedicato un inno profano all’interno del Ṛgveda). Kŗta era ovviamente il colpo migliore, Kali quello sempre perdente.” (http://it.wikipedia.org/wiki/Yuga). Sulle caratteristiche dell’Età Nera v. http://www.hinduism.co.za/kaliyuga.htm. Qui di seguito un efficace riassunto:
tellettuali e i filosofi.
Gli shudra perdono ogni rispetto per le caste superiori, e diventano anzi loro la casta più rispettata nel Kali Yuga. Dopo i primi 10000 anni dello Yuga, diventeranno l’unico varna, o casta; anche se cambia il loro stato sociale non migliorano da un punto di vista spirituale.” (http://it.wikipedia.org/wiki/Kali_Yuga)
nvantara, alla fine di ciascuno dei quali i sette ṛṣi e gli dèi, a cominciare da Indra, sono distrutti. Ciascun manvantara consiste di 71 mahāyuga o 306.720.000 anni umani. Poiché 14 manvantara contengono soltanto 4.294.080.000 anni umani, i restanti 25.920.000 anni necessari per completare i 4.320.000.000 di anni di un kalpa sono divisi in 15 parti uguali di 1.728.000 anni, chiamate Crepuscoli (sandhyā); una sandhyā è collocata prima del primomanvantara e un’altra è posta a seguito di ciascun manvantara. Ogni mahāyuga è suddiviso in quattro parti disuguali, tra loro in rapporto di 4:3:2:1; le loro durate corrispondono dunque, rispettivamente, a 1.728.000 anni (il Kṛtayuga, di durata pari a quella di una sandhyā), 1.296.000 anni (il Tretāyuga), 864.000 anni (il Dvāparayuga) e 432.000 anni (il Kaliyuga). Un periodo di estensione identica si ritrova nei miti babilonesi. Secondo l’astronomo babilonese Beroso, 432.000 anni (in notazione sessagesimale, 2,0,0,0 anni) equivalgono alla durata del governo dei re antidiluviani. Tale periodo è alla base dell’intero sistema dei kalpa. Alla fine di ogni yuga, all’interno del mahāyuga, ha luogo la distruzione degli esseri umani, le cui caratteristiche, come quelle di altri elementi della creazione, degradano al susseguirsi degli yuga. Le distruzioni più importanti nel presente mahāyuga furono quelle compiute da Paraśurāma alla fine del Tretāyuga e da Kṛṣṇa alla fine del Dvāparayuga; la prossima distruzione, a opera di Kalkin, avrà luogo alla fine del Kaliyuga. I Purāṇa esprimono dunque una concezione grandiosa dell’Universo, il quale è soggetto a creazioni e ricreazioni periodiche, a declini graduali e a distruzioni parziali o catastrofiche, distribuite ciclicamente nel corso di lunghi periodi di tempo. Ogni Universo, poi, si riflette in un numero infinito di repliche esatte. In questa visione straordinaria confluiscono elementi derivati dai miti cosmogonici vedici, dalle speculazioni upaniṣadiche, dalla filosofia del Sāṃkhya, dai culti postvedici di Śiva e Viṣṇu, dalle credenze cosmologiche iraniche, dai concetti babilonesi di tempo e infine, dall’ordinamento greco dei pianeti.” (http://www.treccani.it/enciclopedia/asia-india-americhe-la-scienza-indiana-la-cosmologia_(Storia_della_Scienza)/); “Nell’Induismo (…), un kalpa dura 4,32 miliardi di anni, cioè un ‘giorno di Brahma’ e misura la durata del mondo (…). Il kalpa è a sua volta diviso in altre ere che si susseguono e ripetono ciclicamente a loro volta (…). Un kalpa equivale a mille mahāyuga, l’insieme dei quattro yuga comprese le ‘albe’ e i ‘crepuscoli’ intermedi (sandhi). Ogni kalpa è poi diviso in 14 ‘periodi di Manu’ (manvantara o manuvantara), ognuno dei quali dura 306.720.000 anni. Due kalpa costituiscono un giorno e una notte di Brahma. Un ‘mese di Brahma’” contiene “30 di questi giorni e notti, 259,2 miliardi di anni. Secondo il Mahabharata, 12 mesi di Brahma (da 360 giorni e notti di Brahma) costituiscono un ‘anno di Brahma’ o ‘anno divino’ e 100 anni di Brahma costituiscono un ciclo di vita dell’universo o vita di Brahma, chiamato mahākalpa (‘grande kalpa’). Ad oggi sarebbero passati cinquanta anni di Brahma e ci troviamo nel cosiddetto shvetavaraha-kalpa del cinquantunesimo anno di Brahma. Alla fine di ogni giorno di Brahma (kalpa) sovviene una notte di Brahma, della stessa durata del giorno (1 kalpa), durante la quale avviene una parziale distruzione del mondo (pralaya) per opera del fuoco, dell’acqua o del vento. Dopo ogni mahākalpa (100 anni di Brahma), Brahma muore e avviene una distruzione totale dell’universo (mahapralaya), che dura quanto è durata la vita di Brahma: 100 anni di Brahma. Dopo tale periodo, Brahmā rinasce e si ripete nuovamente il ciclo. Nella Bhagavad Gita, il Signore Krishna così spiega ad Arjuna la teoria dell’evoluzione e dell’involuzione durante i cicli cosmici: ‘Quando sanno che la durata completa di un giorno di Brahmā è di mille eoni, e di mille eoni la sua notte, gli uomini conoscono veramente che cos’è un ciclo cosmico. Quando viene il giorno, tutti gli esseri distinti procedono dall’indistinto; quando viene la notte, è in esso altresì che si risolvono, in ciò che è detto l’indistinto. Questa stessa moltitudine di esseri, dopo esser venuta più e più volte all’esistenza, figlio di Pṛthā, si riassorbe suo malgrado, quando viene la notte; essa torna a sorgere quando torna il giorno. Ma al di là di questo non manifestato, esiste un altro non manifestato, eterno che, anche quando tutti gli esseri periscono, non perisce. È detto l’Imperituro, il Non Manifestato; è Lui che si proclama essere il fine supremo. Quando lo si è ottenuto, non si rinasce più. È la mia sede suprema.’ (Bhagavad Gita, Canto VIII, versi 17-21) E ancora: ‘O figlio di Kuntī, alla fine di un eone tutti gli esseri vanno a questa mia natura [cosmica], poi, all’inizio di un eone, io li emano di nuovo. Padroneggiando la mia natura cosmica, io emetto sempre di nuovo tutto questo insieme di esseri, loro malgrado e grazie al potere della mia natura.’ (Bhagavad Gita, Canto IX, versi 7,8)” (http://it.wikipedia.org/wiki/Kalpa). Cfr. http://it.groups.yahoo.com/group/libertari/message/60136.