7 Ottobre 2024
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Yukio Mishima l’ultimo samurai – Franco Brogioli

 

«Sapere senza agire equivale a non sapere».

(Yukio Mishima, Il mare della fertilità).

 

Il Giappone moderno, nell’immaginario collettivo e veicolato dai massmedia, è considerato come una nazione con un’economia ipersviluppata soprattutto all’avanguardia nel campo delle nuove tecnologie informatiche e robotiche. Sempre nelle fantasticherie degli occidentali più colti il Paese del Sol Levante è pensato come un luogo esotico dove magari ipotizzare di fare un viaggio.

Ma chi, tra i nostri contemporanei in un mondo globalizzato da decenni, conosce la vita, le opere e la morte di Yukio Mishima sulla quale sono stati pur versati, spesso a sproposito, fiumi d’inchiostro?

Kimitake Hiraoka – il vero nome di Mishima – nacque a Tōkyō nel quartiere Yotsuya, l’attuale Shinjuku, il 14 gennaio 1925 da una famiglia borghese. Nel 1931 venne ammesso alla scuola elementare del Gakushūin, l’istituto più esclusivo del Giappone. I compagni di classe lo prendevano in giro per la sua fragilità fisica dovuta a problemi polmonari e nel 1945 venne giudicato erroneamente non idoneo al servizio militare e, forse, ciò determinò la sua scelta successiva di praticare body building, boxe, corsa e, in seguito, l’antica arte marziale nipponica del kendō frequentando la palestra del Palazzo Imperiale dove in poco tempo raggiunse il livello di quarto dan.

Dalla seconda metà degli anni Sessanta fino al fatidico 1970 anno del terribile seppuku che mise termine alla sua vita terrena – fece viaggi in America, Europa e Asia Sud orientale.

I suoi libri sono stati pubblicati in Italia dagli inizi degli anni Sessanta principalmente da Feltrinelli e Guanda, ma continuano a essere ristampati.

Come detto, su Mishima è stato scritto molto ed è stato considerato da alcuni giornalisti e biografi puntualmente come un “fascista”, un “pazzo” e un “fanatico”.

Alberto Moravia lo definì invece una volta come un «conservatore decadente» e per certi versi può essere paragonato al nostro Gabriele D’Annunzio del quale tradusse Il martirio di San Sebastiano.

Mishima giovanissimo ebbe il suo primo turbamento erotico proprio di fronte alla riproduzione dell’omonimo dipinto di Guido Reni che vide su un libro.

Nel testo di Federico Goglio Danzando nel cratere del vulcano. L’universo eroico di Yukio Mishima1, che attraverso un lavoro di ricerca e di analisi offre una volta per tutte una chiave di lettura inedita, nuova sul più grande scrittore giapponese del Novecento e uno dei massimi a livello mondiale, basti pensare che fu candidato per ben tre volte al premio Nobel per la letteratura.

Infatti nel libro di Goglio si racconta di Mishima partendo dal presupposto che siano persone come l’autore di questo volume, che si sono incamminate su un percorso valoriale simile a quello dell’autore di Confessioni di una maschera2, e che cercano di condividerne l’universo a volte decadente, a volte eroico che lui ha dipinto per esempio mettendo alla prova le loro capacità espressive e misurandosi con il peso dell’acciaio attraverso la scherma giapponese che ha delle regole molto rigide. L’approccio di Goglio dà un valore aggiunto e la capacità di specchiarsi e immedesimarsi nell’oggetto del suo lavoro, il tentativo di raggiungere una sintonia sufficiente a comprendere e a far comprendere ai contemporanei, in che modo oggi, quei valori a cui Mishima si è ispirato – e poi letteralmente consacrato – il 25 novembre 1970, possono avere un riscontro con la società attuale dell’immagine, dei social network e della realtà virtuale.

Federico Goglio è noto nell’ambiente musicale del rock identitario con il nome d’arte di Sköll da svariati anni e ha dedicato diverse canzoni a Yukio Mishima che sono state raccolte nell’album Il sogno di Mishima3.

In un altro libro biografico, Vita e morte di Yukio Mishima 4 di Henry Scott Stokes, inviato del Times a Tōkyō e suo amico intimo, fu l’unico occidentale a poter assistere alle varie fasi del processo che seguì agli eventi del 25 novembre 1970, quando nel Quartier generale della base militare di Ichigaya, a Tōkyō Yukio Mishima si uccise con il tradizionale suicidio per sventramento. Pochi minuti prima, con l’aiuto di quattro membri del Tatenokai, l’Associazione degli Scudi ironicamente e provocatoriamente ribattezzata da Mishima SS, Shield Society –cioè un sodalizio paramilitare da lui fondata nel 1968, aveva preso in ostaggio il generale a capo della guarnigione, e aveva incitato inutilmente i soldati dello Jietai (le Forze armate di autodifesa) alla ribellione contro la progressiva occidentalizzazione della nazione nipponica, una rivolta che aveva come scopo la restaurazione dell’autorità imperiale e della potenza militare giapponese. E’ da questo avvenimento che il giornalista inglese prende spunto per narrarci la vita di un personaggio complesso e straordinario.

Romanziere, saggista, autore teatrale, attore, cantante di musica leggera e regista Mishima è stato un artista affascinante e discusso (anche a causa della sua probabile omosessualità), nonché lo scrittore giapponese più conosciuto e tradotto in Occidente. Scott Stokes lo racconta amalgamando le numerose esperienze vissute con lui, le testimonianze raccolte direttamente da familiari, colleghi e amici, e la disamina, lucida e puntuale, delle opere più importanti ed esperienze vissute con lui.

Una grande scrittrice del XX secolo che ha scritto su Mishima è stata Marguerite Yourcenar che nel suo libro Mishima o la visione del vuoto5 analizza la poliedrica opera mishimiana attraverso un’indagine dei suoi scritti.

Anche per l’autrice francese il punto di partenza è il 25 novembre 1970, lo stesso giorno in cui Mishima portò a termine l’ultimo romanzo della tetralogia Il mare della fertilità, capolavoro e testamento di un’opera letteraria vasta, policroma, spesso sconvolgente, che gli aveva dato una fama mondiale. Era lo stesso giorno in cui, nel 1947, aveva iniziato Confessioni di una maschera, romanzo in parte autobiografico sorprendente, dell’angoscia e dell’atonia insieme.

Della morte per seppuku (termine più ufficiale e utilizzato nella forma scritta invece di harakiri di uso comune nella lingua parlata) Mishima si era preparato per anni, l’aveva prefigurata nella fine di molti personaggi dei suoi romanzi, l’aveva mimata lui stesso come sceneggiatore, direttore e interprete del film Patriottismo. Rito d’amore e morte6 (Yūkoku) del 1966, ma già anticipata di alcuni anni nell’omonimo racconto presente nella raccolta Morte di mezza estate e altri racconti7.

Per la Yourcenar la sua è stata una morte appagante: tramite essa i “quattro fiumi” della sua esistenza – la scrittura, il teatro, il corpo, l’azione – rifluivano in quel “vuoto metafisico” che da sempre lo attraeva. Come creazione letteraria l’avventura umana di Mishima appare alla scrittrice nata a Bruxelles tutta votata alla morte, così quella sua morte volontaria le appare l’ultima delle sue opere: l’atto che soddisfaceva la sua ansia crudele di assomigliare ad esse annullandovisi, l’estremo e paradossale tentativo di unire arte e vita. Nel bellissimo saggio della Yourcenar che intreccia continuamente letteratura e biografia, la grande scrittrice d’Occidente smonta i meccanismi della psicologia di un grande scrittore d’Oriente, illuminandone le ambizioni, i trionfi, le debolezze, i disastri interiori e infine il disperato coraggio.

Mishima è qui restituito al proprio enigma, a una complessità sconcertante troppo spesso appiattita e fraintesa da un’ottica “occidentale”. Così il richiamo ai valori dell’etica dei samurai, così come sono espressi nell’Hagakure e soprattutto nel Bushidô, non può essere ricondotto, come si è preteso, al radicalismo politico di un nostalgico del Giappone feudale e militarista. Il nazionalismo di Mishima esprime piuttosto un rifiuto della decadenza morale e civile di un Paese che si è affidato alla modernizzazione e alle sue promesse di prosperità puramente materiale tradendo il retaggio spirituale della sua tradizione millenaria.

E al fondo esprime un esacerbante senso del Sacro: Mishima pensava che in un mondo privo di fede era diventato impossibile l’amore stesso, e perciò sperava di poter ricomporre in esso, la propria sofferta dicotomia tra anima e corpo, maschile e femminile, eros e thanatos. La lucida intelligenza che queste pagine di Marguerite Yourcenar congiunge con un’umana pietà ed esaudisce nel solo modo possibile l’ultimo desiderio che Mishima affidò a un foglietto prima di darsi la morte, e che è caratteristica delle creature ardenti tanto da essere insaziabili e desiderose: «La vita umana è breve ma io vorrei vivere per sempre».

Nell’opera di Giuseppe Fino, Mishima e la restaurazione della cultura integrale7, l’oggetto del libro è quello di trattare l’attività saggistica, analizzando come Mishima abbia considerato il problema della cultura.

Questo problema occupa il punto centrale della concezione letteraria, artistica ed umana dell’intellettuale giapponese, ed attraverso di esso si possono scoprire indicazioni utili per la comprensione di questo discusso personaggio. Per questa ragione uno studio sul problema della cultura di Mishima non si può limitare solamente all’analisi dei suoi saggi connessi direttamente a questo argomento, ma finisce per investire buona parte delle sue opere, come pure della sua formazione e, sotto certi aspetti, della sua stessa personalità.

Con l’elaborazione di una teoria della cultura lo scrittore cerca sul piano individuale di trovare una chiave interpretativa in grado di armonizzare il «mare magnum» delle sue attività, quelle più propriamente letterarie, quelle legate alla politica e le altre. Da un punto di vista generale, di dare un’interpretazione totale della cultura giapponese, inserendosi nel Nihonjin-ron, la discussione sui giapponesi, che è stata soprattutto vivace negli anni Sessanta.

Le origini della teoria mishimiana sulla cultura sono rintracciabili in varie fonti: in sorgenti diverse, perché varia è la formazione dello scrittore. Ogni indagine deve necessariamente partire dalla Scuola Romantica dell’era Shôwa che ha dato allo scrittore la sua formazione determinandone in modo incancellabile il successivi sviluppo.

Sul giovane Mishima si è fatta sentire l’influenza della rivista letteraria Bungei Bunka (Arte e Cultura), che rappresentava l’aspetto più estremistico della corrente romantica dell’era Shôwa, legato al momento della guerra e perciò nazionalista ed affascinato del pensiero della morte. E’ nella corrente romantica che Mishima rinviene l’amore per la tradizione classica giapponese, il senso del miyabi, il concetto di morte intesa come opera di cultura, la concezione «tennocentrica» (incentrata sul Tennô, cioè dell’Imperatore) della cultura giapponese.

La fine drammatica della guerra e la sconfitta del Giappone costituiscono un punto di svolta nella vita e nell’opera di Mishima.

Per Fino sembra che ci sia una brusca interruzione nello sviluppo letterario e spirituale dello scrittore. Egli sembra allontanarsi in termini decisi e polemici dalle tesi del romanticismo per tornarvi solo dal 1960 in poi. Non si è trattato di una rottura con il romanticismo, ma di un temporaneo accantonamento di alcuni temi che non scompaiono mai dalle sue opere.

Isoda Koichi afferma: «L’attività letteraria e il pensiero di Yukio Mishima durante i ventiquattro anni del dopoguerra è stata una sfida paradossale al progressismo del dopoguerra, una profezia di “quello che avverrà dopo il dopoguerra”.

 Quando tutti parlavano di umanitarismo e modernità, Mishima parlava dell’ “estetica della morte in giovane età” e della “volontà di distruzione”; in un’epoca in cui tutti facevano della democrazia l’unica bandiera, egli ha parlato del fascino del fascismo. Quando tutti negavano la famiglia feudale e sognavano una vita domestica felice basata sul matrimonio d’amore egli ha avvertito i limiti dell’ideologia del myhome e la distruzione della famiglia ed ha avuto la saggezza e il coraggio di scegliere un matrimonio a miai (un’usanza tradizionale che consiste nel far incontrare due persone libere da legami sentimentali affinché prendano in considerazione la possibilità di sposarsi   da non confondersi con il matrimonio combinato). Per lui tutti i principi del dopoguerra erano nemici da combattere».

Un altro momento decisivo per Mishima è la lotta per il Trattato di Mutua Sicurezza con gli Stati Uniti, che lo vede per la prima volta diretto interessato e spettatore critico. Egli nota nella lotta delle sinistre contro questo Trattato un aspetto dell’assalto di quell’ «intellettualismo» da lui detestato contro la tradizione nazionale.

Mishima si convince che non può restare neutrale in questa lotta. Da allora si verifica quella repentina «sterzata» nella sua produzione letteraria, il quale incomincia ad interessarsi in modo concreto del problema della cultura e a costituirsi un adeguato sistema di pensiero.

Secondo Fino, bisogna riconoscere a Mishima il merito di aver voluto, tentato e portato a termine con successo una modernizzazione della cultura classica giapponese (ad esempio con il Teatro ). E Mishima ha visto nella corrente romantica l’unica àncora di salvezza e di rinascita per la cultura giapponese.

Il pensiero filosofico di Mishima, a parte le naturali e scontate ingenuità e approssimazioni, dovute alle contingenze e agli impegni politici, può essere definito un rigoroso e riuscito tentativo di dare un respiro universale alla tradizione giapponese.

In un recentissimo libro, Mishima. Martire della bellezza9 a cura di Alex Pietrogiacomi, vengono raccolte per la prima volta al mondo, le frasi tratte dalle sue stesse opere e dai suoi discorsi, per creare una sorta di manuale per moderni guerrieri, per uomini e donne dallo spirito indomito e poetico, capaci di riflettere e agire allo stesso tempo.

Più di una semplice raccolta di aforismi, perché ogni pagina è un’ispirazione, un moto dell’anima che si accende estatico e furioso, dedicato all’ultimo samurai del Giappone, all’ultimo suo martire della bellezza, che nella bellezza ha dissolto la sua vita.

La vita, le opere e la morte dello scrittore nipponico sono state celebrate attraverso il film Mishima – Una vita in quattro capitoli di Paul Scharder che venne presentato al XXXVIII Festival di Cannes nel 1985 dove ottenne il premio per il contributo artistico.

Un altro film del 2012 dedicato al suo ultimo giorno di vita è 25/11 Il giorno dell’autodeterminazione – Mishima e i giovani diretto da Kōji Wakamatsu e che è staro mostrato nella sezione Un Certain Regard sempre al Festival di Cannes.

 

Note:

  1. Editrice Lo Scarabeo, Milano, 2015.
  2. Universale Economica Feltrinelli, 21 ed. Milano, 2002.
  3. Perimetro/Rupe Tarpea Produzioni, 2015.
  4. Lindau, collana “Le comete”, Milano, 2015.
  5. Bompiani, collana “Nuovo Portico”, Milano, 1982.
  6. https://www.youtube.com/watch?v=JNqoq4eIiNs
  7. Tascabili Guanda, Parma, 2016.
  8. Edizioni Sannô-kai, Padova, 1980.
  9. Agenzia Alcatraz, Milano, 2020.

 

3 Comments

  • Elisabetta 6 Luglio 2024

    Complimenti, tanta roba. Bello.

  • paolo 8 Luglio 2024

    Un personaggio astrologicamente molto segnato dal pianeta Plutone, il pianeta dell’autodistruzione. Non amo le sue scelte esistenziali e la sua fine spettacolare e truculenta, una fine tutto sommato isterica e inutile. Non di certo una figura da considerarsi alla luce di una qualsivoglia Tradizione spirituale

    • Roberto 12 Luglio 2024

      Attenzione, questo può essere vero in un’ottica occidentale, ma Mishima incarna veramente il samurai, con tutte le forzature, se vogliamo, dovute al fatto di agire nel XX secolo, e le drammatiche conseguenze. Con questa visione, allora, anche Dominique Venner sarebbe uno scriteriato! L’estrema coerenza può portare a scelte discutibili o luminose, nella loro ineluttabilità, asseconda dell’approccio dell’osservatore.

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